Il retroscena

Il faccia a faccia (in inglese) Meloni-von der Leyen: "Sull'Ucraina garantisco io". I timori Ue sugli alleati

Simone Canettieri

L'incontro a due fra la premier e la presidente della Commissione. A Bruxelles registrano "le buone intenzioni del governo" ma dubitano sulla tenuta della maggioranza

Il faccia a faccia si è svolto in inglese. Fuori le rispettive delegazioni, dentro solo loro due: Ursula von der Leyen e Giorgia Meloni. Un colloquio “cordiale” – nonostante le  storiche e violente divisioni del passato – figlio di una “accoglienza eccellente” che ha lasciato stupita anche la presidente del Consiglio al termine della girandola di incontri europei. Con tutti i vertici delle istituzioni rientrati a Bruxelles solo per incontrarla. Gli sherpa della Commissione il giorno dopo registrano come “Meloni si sia presentata armata delle migliori intenzioni”. Ma allo stesso tempo temono un “disallineamento” fra  la premier e la maggioranza di governo che si porta appresso. Nessuna novità. Accadde anche a Giuseppe Conte nel primo governo gialloverde. Quando in un celebre fuorionda l’avvocato del popolo rincuorò Angela Merkel sulle bizze di Matteo Salvini e Luigi Di Maio. “A loro ci penso io”, fece capire Conte a Frau Merkel. 


La premier italiana invece ha a che fare, per esempio, con i distinguo di Lega e Forza Italia sulla guerra di Putin in Ucraina. “No problem, Ursula. Sulla politica estera garantisco io”. 
E proprio il conflitto scatenato dalla Russia, con la conferma guardandola negli occhi che la posizione Italia non cambierà, è stato uno dei “sei messaggi” che Meloni ha inviato a von der Leyen durante il tête-à-tête. Sei promemoria, dunque, alcuni dei quali nel solco di Mario Draghi sull’energia: price cap dinamico e sostegni alle imprese con fondi  Sure.
E poi certo c’è stata la richiesta di sostegno da parte della Commissione sul nutriscore e la richiesta di “flessibilità” sulle gare del Pnrr. Materia per la quale partiranno presto contatti tecnici fra Roma, il dossier è nelle mani di Raffaele Fitto, e Bruxelles. Nei messaggi, più distensivi che belligeranti, ci sono finiti anche i migranti. “La difesa delle frontiere esterne davanti all’immigrazione”. Rimangono diversi punti che ancora non si toccano. E soprattutto di fondo c’è la consapevolezza che al di là della buona partenza costruire un rapporto solido con l’Europa sarà un’impresa non banale per l’inquilina di Palazzo Chigi. Pesano le vicende pregresse, il collocamento di Fratelli d’Italia nell’internazionale sovranista e soprattutto la compagnia di governo che sta con la “capa” in questa avventura. A partire, e si ritorna al punto dolente, dall’Ucraina, la cornice da cui discendono tutti rapporti con i vertici Ue.  Meloni è pronta ad attaccarsi ai fatti, che si sa hanno la testa dura, più che ai rumori di fondo. Sicché l’annuncio del sesto decreto di aiuti militari a Kyiv, il primo del nuovo governo, le è sembrato il miglior viatico per assicurare ai partner Ue l’affidabilità dell’Italia. Al di là delle dichiarazioni di Matteo Salvini e Silvio Berlusconi. Il debutto brusellese con il poker d’incontri – Gentiloni, Metsola, von der Leyen, Michel – è servito alla presidente del Consiglio a presentarsi nel migliore dei modi ai prossimi appuntamenti di peso: la Cop-27 a Sharm el-Sheikh fra tre giorni, poi il G-20 a Bali il 15 e il 16 novembre. A dicembre poi ci sarà la conferenza di pace a Parigi sull’Ucraina e il primo Consiglio europeo. In mezzo Meloni pensa a un tour per le cancellerie importanti, prima che finisca l’anno. Un viaggio a Berlino è un’ipotesi su cui sta lavorando Palazzo Chigi, vista anche la partita del gas. “La Germania per noi resta un problema”. 
Allo stesso tempo nessuno, dalle parti del governo, sembra aver abbandonato l’idea di una missione a casa di Zelensky, magari con una tappa intermedia dall’amico polacco Mateusz Morawiecki. L’ “Air force Giorgia” è stato appena acceso. Ma alla fine, in questo mix di propaganda e realismo,  il timore che possa esserci un certo “disallineamento” fra i propositi della premier e il resto della coalizione resta un elemento di forte preoccupazione a Bruxelles.  Stesso discorso per il bilancio, visti i tempi strettissimi.  Anche perché incombe la riforma del patto di stabilità, argomento della colazione fra la premier e Gentiloni ieri l’altro. 


 

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.