La scelta di La Russa e Fontana dimostra che la destra è ostaggio dell'ambiguità

Claudio Cerasa

Le due occasioni perse nell'elezione dei presidenti di Camera e Senato spiegate con le critiche diaboliche rivolte da Berlusconi a Meloni 

La sintesi perfetta del combinato disposto rappresentato dal nome scelto dal centrodestra per la presidenza del Senato (Ignazio La Russa) e dal nome scelto dal centrodestra per la presidenza della Camera (Lorenzo Fontana) è tutta nei cinque punti scritti a mano giovedì mattina da Silvio Berlusconi su un foglietto di carta fotografato al Senato. Il foglietto di carta conteneva una serie di valutazioni su Giorgia Meloni, e sul suo comportamento, ma quelle valutazioni oggi potrebbero essere utilizzate anche per descrivere il comportamento messo in campo dal centrodestra per selezionare la classe dirigente che guiderà le presidenze delle Camere. Primo: “Supponente”. Secondo: “Prepotente”. Terzo: “Arrogante”. Quarto: “Offensivo”. Quinto: “Ridicolo”. Sintesi: “Nessuna disponibilità ai cambiamenti”. Conclusione: “E’ una con cui non si può andare d’accordo”.

 

C’è da augurarsi, dopo i primi due giorni di legislatura, che nella scelta dei nomi giusti a cui affidare il governo il centrodestra scelga di fare un salto di qualità, per così dire, decidendo cioè di affidarsi a volti capaci di rappresentare una discontinuità netta rispetto all’estremismo cavalcato negli ultimi anni. Anche perché, a volere essere sinceri, le storie che rappresentano La Russa e Fontana sono storie che ci ricordano in modo plastico cosa è stata la destra nazionalista prima delle trasformazioni prodotte dall’invasione dell’Ucraina. Una destra complottista, antieuropeista, che con disinvoltura ha tentato a lungo di trasformare il putinismo in un’ideologia utile a scardinare gli ingranaggi delle democrazie liberali, per alimentare la propria indignazione contro l’Europa, la globalizzazione, l’establishment, l’occidente e le società aperte. In questo senso, le magliette di Lorenzo Fontana inneggianti a Putin che ritroverete oggi sulle prime pagine di molti giornali esprimevano gli stessi concetti che in quel periodo venivano veicolati non solo dalla bestia salviniana ma anche da quella meloniana. La quale Meloni, appena sei anni fa, prima della guerra, prima della svolta atlantista, sulla Russia aveva un’idea precisa, molto fontaniana. 29 dicembre 2016: “Fratelli d’Italia – disse Meloni – chiede di mettere fine a tutte le sanzioni ancora presenti contro la Federazione russa”. Da questo punto di vista, per Meloni e per Salvini aver scelto, come primo atto politico, di premiare due politici che non incarnano una discontinuità con il passato nazionalista è un atto insieme supponente, prepotente, arrogante, offensivo e persino ridicolo. Non tanto perché La Russa e Fontana, bravissime persone, sono lì a rappresentare tutto quello che i loro detrattori sostengono – il simbolo di una continuità con il fascismo, il simbolo di una continuità con il putinismo, il simbolo di una continuità con la destra omofoba – quanto perché La Russa e Fontana rappresentano perfettamente quello che è il principale problema della destra che si appresta a governare l’Italia: l’ambiguità e la doppiezza. Un’ambiguità all’interno della quale vive un problema preciso: l’incapacità di fondo, da parte del centrodestra a guida Meloni e Salvini, nel mostrare con chiarezza una volontà esplicita di segnare una svolta rispetto al passato estremista. Cambiare posizione, portare avanti una svolta, non significa solo affermare il contrario di quanto si è detto nel passato (Fontana, su questo giornale, mesi fa, è stato molto netto sulla necessità di utilizzare sanzioni contro la Russia) ma significa riconoscere di aver commesso degli errori, significa ammettere che le proprie idee di un tempo erano sbagliate, e far finta che le posizioni di oggi siano invece coerenti con la propria storia, come se nulla fosse successo, lascia intendere quello che un partito che si prepara a governare l’Italia non può permettersi di fare: utilizzare la moderazione solo come un mezzo per arrivare al potere e non come un fine per governare l’Italia, usando la propria ambiguità non per combattere ma per continuare ad alimentare allegramente gli estremismi di ogni colore.

 

In bocca al lupo a La Russa e Fontana.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.