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La commedia del detenuto di Arcore

L'idea che Berlusconi sia prigioniero di una badante è vecchia di vent'anni (ed è sua)

Salvatore Merlo

Già anni fa si diceva che il Cav. fosse nelle mani di un gruppo di Erinni e di un cerchio magico che lo orientava. Ora, è stata Licia Ronzulli a farlo sbattere malamente contro Giorgia Meloni? A farlo perdere giovedì in Senato? Sì. Ma anche no. Il Caimano è ancora vivo

Ci sono sempre una “fidanzata” e una “assistente” particolare, volgarmente detta badante. Le due sono figure stereotipiche, come nella commedia dell’arte. E infatti a prescindere da chi siano e come si chiamino, assistente e fidanzata sono sempre amiche (è però l’assistente che ha portato la fidanzata ad Arcore), entrambe esercitano molto potere e sono molto temute dunque anche assai odiate, si muovono di concerto come complici, sono autoritarie (specie la badante) e ovviamente secondo tutti i cortigiani del Castello e del partito entrambe portano il Sultano a sbagliare.

Già nel 2010, scherzando, Fedele Confalonieri chiamava il suo amico Silvio Berlusconi “il prigioniero di Arcore”. E già allora accadeva che una di queste signore, era Mariarosaria Rossi, l’assistente di dodici anni fa, in accordo con la fidanzata di allora, che era Francesca Pascale, non passasse al Cavaliere il telefono. Persino quando all’altro capo  c’era il gran visir Gianni Letta. Oggi succede con Licia Ronzulli e Marta Fascina.  Dura, durissima, la vita di corte accanto a Berlusconi, uomo che vive al di sopra del rigo, mago e circense capace di tramutare la Fininvest in un partito, lo share in voti, l’acqua in vino, le zucche in parlamentari. Duro il vivere degli ondeggiamenti della volontà capricciosa di un Sultano bugiardo ma sincero, sempre impigliato nelle sue troppe contraffazione della realtà. È stata la badante di oggi, Licia Ronzulli, a farlo sbattere malamente contro Giorgia Meloni? A farlo perdere giovedì in Senato? Sì. Ma anche no. Il Caimano è ancora vivo.

Tutto ciò che succede oggi, è già successo ieri. E certo Silvio Berlusconi è sempre più anziano, sempre più zoppicante, sempre meno forte dal punto di vista elettorale, ma nessuna delle meccaniche di corte che in queste ore stanno alimentando il gossip di Palazzo e anche i retropensieri di Giorgia Meloni, sono una novità. Sembra quasi, anzi, di rivedere di nuovo lo stesso film di sempre. Già circa dodici anni fa si diceva che il Cavaliere fosse nelle mani di un gruppo di Erinni e di un cerchio magico che lo orientava. Il che era vero, perché lui voleva che fosse così. E infatti lo è stato, vero. Finché lui stesso, il Sultano diverso (e anche un po’ perverso), non si è poi scocciato e da un giorno all’altro ha deciso di cambiare sia la fidanzata sia la badante. Così. Da un giorno all’altro, puff.  Secondo una routine stabilita e immutabile che deriva dalla natura anomala, per non dire asiatica, della sua leadership così lontana dai codici delle istituzioni e della politica classica. A cominciare dal fatto che la politica, Berlusconi la fa a casa sua da sempre, mica nei Palazzi o in Parlamento dove lo ha costretto ad andare Meloni giovedì mattina. Bonaiuti, Verdini, Cicchitto, Bondi, andavano tutti a casa del Cavaliere. E Niccolò Ghedini aveva addirittura una stanza tutta sua per restare pure a dormire: colazione alle dodici, il punto sulla giornata tra un boccone di carne e di verdura, la riunione della sera con un crodino e le pizzette. Perché è così che al Sultano piace di più esercitare la sua funzione di capo. A casa.

Con la badante e la fidanzata dunque. Da sempre. E’ lui che vuole così. Ed è lui che alimenta tutte le leggende sulla sua vera o presunta prigionia. D’altra parte chi di noi non vorrebbe poter dare la colpa a un altro per le telefonate perse, per le chiamate rimaste senza risposta? Quando Mario Draghi ha chiamato Arcore, nei giorni disperati in cui il governo stava per cadere, non è riuscito a parlare con il Cavaliere. Questo lo sanno in molti. Ebbene il Sultano ha dato la colpa a Licia Ronzulli. Ed ecco la leggenda: “La Ronzulli non gliel’ha passato, voleva evitare che Berlusconi cambiasse idea. Voleva proprio far cadere Draghi”. Figurarsi se qualcuno può fare cambiare idea a Berlusconi, ben altri santi ci hanno provato. Ma la badante, assieme al cerchio magico, serve a questo. Uno scudo. Che dura finché il Sovrano, che non ama perdere,  non si scoccia. D’altra parte a chi è andata la colpa del disastro di Forza Italia giovedì in Senato? A chi è stata imputata l’ostinazione di voler affrontare Giorgia Meloni in Aula? Alla Ronzulli, ovviamente.

Come se la ex infermiera del Galeazzi di Milano fosse dotata di qualche autonomia o di intelligenza politica. Come se l’ostinato, orgoglioso (e un po’ capriccioso) non fosse il Sultano di Arcore in persona, la cui forza e il cui carisma, benché senile o acciaccato, si riverbera nell’arroganza e nell’antipatia che Ronzulli suscita praticamente in tutti i suoi interlocutori politici e non. Compresa Giorgia Meloni. Anche quando volle rompere con Denis Verdini, con l’amato Verdini, il Cavaliere utilizzò la Rossi/Ronzulli, insomma la figura stereotipica della badante di Arcore. Gliela scagliò addosso. Perché lui non ama perdere e nemmeno licenziare. Lo fa fare agli altri. Era il 23 luglio 2015, e le ultime parole di Denis, pronunciate nello studio di Palazzo Grazioli, poco prima che si rompesse il famoso patto del Nazareno e con questo anche il sodalizio tra lui  e il Cavaliere, furono queste: “Presidente, io non posso prendere ordini da una ragazzina”. Certo, un tempo l’ostinazione di Berlusconi poteva essere aggirata perché esistevano mediatori come Gianni Letta e altri collaboratori con i quali gli avversari parlavano. Ora tutto il gruppo intorno a al Cavaliere è più piccolo, scarno, quasi una ridotta. Ma le meccaniche sono sempre quelle. “Guardi non esiste niente. Non ci sono Erinni, né cerchi magici, né badanti. E’ tutto Berlusconi. C’è solo Berlusconi. E se mi devo incazzare con qualcuno, io mi incazzo con lui”, diceva Daniela Santanché dieci anni fa. E le badanti? “Recitano la parte che Berlusconi le assegna. Siamo tutti tasti di un pianoforte suonato da lui”. E non è certo al pianoforte che si possono attribuire le colpe del pianista.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.