Foto di Cecilia Fabiano, via LaPresse 

il monopolo

Quando Letta dice attenzione che la destra stravince, dice il fatto. Nudo e crudo

Giuliano Ferrara

Gli altropolisti sono in pieno diritto di invocare il sostegno pieno di elettori convinti delle loro idee e il Pd è in diritto di evocare le condizioni di una sconfitta non definitiva

Ormai sono discorsi del dopo, quindi abbastanza inutili, se non perché il dopo non sia peggio ancora del prima. Quando Enrico Letta dice rafforzateci, altrimenti la destra prende una maggioranza eccezionale, capace di fare e disfare anche sul piano costituzionale, e menziona quel modesto incremento del 4 per cento che toglierebbe le castagne dal fuoco al Pd e anche ai suoi scontrosi non-alleati, competitori dell’oggi e oppositori domani, non ha né ragione né torto. Dice il fatto, nudo e crudo, che non è discutibile.

 

Tuttavia i ragionamenti e le invettive dei terzopolisti, se è per questo anche degli ambigui e inclassificabili grillozzi di Conte, hanno una radice e una legittimazione inconfutabile anch’essa. Anche loro dicono il fatto, nudo e crudo, chi c’è c’è, e il voto deve esprimere una preferenza a persone e idee. Punto.

 

Solo chi sia terrorizzato, ma chi lo è?, da un governo Meloni, solo chi paventi un cambio di regime doloroso e al buio, un’ipoteca sulla politica estera e di difesa dell’Italia in Europa e nell’asse atlantico, è autorizzato a considerare l’utilità di voto di quel 4 per cento. Infatti, qualsiasi cosa s’inventino terzo e quartopolisti calendiani e grillozzi, non c’è nessun bipolarismo da sconfiggere, nemmeno falso. C’è un bipolarismo con un solo polo, altra geniale invenzione della politica italiana sbrindellata e cocciutamente ingovernabile se non ricorrendo alle virtù del trasformismo, che questa volta potrebbero non scattare.

 

Non hanno voluto una convergenza compatta e plurale nei collegi uninominali, convergenza aritmetica e politica, per competere, che sarebbe la materia prima di una sfida elettorale in regime di forte impronta maggioritaria. E dunque la scelta di voto resta libera da ipoteche di “utilità”, in corrispondenza dell’ampia quota proporzionale della legge elettorale, ma un solo polo, la destra, ha il vantaggio decisivo e realistico del due più due. Il 4 per cento evocato da Letta è solo un’utilità aggiuntiva, che nasce dall’assetto perdente della battaglia e dalla preoccupazione di non trasformare la rotta in una Beresina.

 

Ma sono in pochi a credere che la Repubblica sarà scossa nelle sue basi democratiche da una marcia di Meloni su Palazzo Chigi. Giusto o sbagliato che sia, l’allarme democratico non funziona come una volta, come un riflesso condizionato. I più credono che al posto della marcia ci sarà l’avvento della perfidia di Tremonti, sovranismo e populismo in polpe, roba istruita, una fukuyamata con la storia che ricomincia da dove eravamo rimasti. 

 

E poi il razionamento si farà, le armi per la resistenza contro Putin saranno inviate, il rigassificatore sarà a Piombino o altrove ma sarà, il termovalorizzatore pure, i mercati e l’Unione europea e la Nato continueranno ad avere una certa influenza sulle scelta strategiche dell’Italia, l’intermediazione tecnica manterrà un suo fascino e una sua capacità di attrazione, e Fratoianni e quell’altro verde si riveleranno nemici della coerenza riformista meno temibili di quanto siano stati fatti apparire.

 

Le acrobazie fasciodemagogiche del governo del contratto, pensano i più, non torneranno, qui la destra promette di ricominciare a fare politica, non contrattini tra bambolotti in fregola di pieni poteri. Così gli altropolisti sono in pieno diritto, ormai, di invocare il sostegno pieno di elettori convinti delle loro idee e della loro integrità programmatica, un altro modo per dire seguiteci nella bella irrilevanza, e il Pd è in diritto di evocare le condizioni di una sconfitta non definitiva, che come appeal elettorale non è il massimo, è un programma minimo, diciamo.

 

Solo che le elezioni non si dovrebbero mai giocare sul diritto dei puri a dirsi tali, puri e magari anche utili, ma sul potere da conquistare o controllare in nome degli interessi e delle relazioni di forza. Sarà per un’altra volta.

Di più su questi argomenti:
  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.