grand commis a cinque cerchi

Agenda Scaroni. Draghi ha scelto il suo alter ego sportivo per salvare l'Olimpiade di Milano-Cortina

Roberto Perrone

È Il nuovo ceo della Fondazione che sovrintende ai Giochi olimpici invernali del 2026: toccherà a lui fare in modo che tutto funzioni. Ha posto un’unica condizione al premier: poter restare presidente del Milan

Un uomo per tutte le stagioni, trasversalissimo, un po’ come chi l’ha piazzato lì, Paolo Scaroni da Vicenza, 76 anni il prossimo 28 novembre. Il nuovo ceo (ad, per chi chiama da Roma) della Fondazione che sovrintende ai Giochi olimpici invernali numero 25 programmati tra Milano e Cortina nel 2026, come il premier Mario Draghi che l’ha destinato all’alto incarico, ha estimatori dappertutto, nelle grandi aziende (è stato all’Eni e all’Enel), nelle banche (è deputy chairman, qualsiasi cosa voglia dire, di Rothschild) ma anche tra il popolo. Draghi è reduce dal tripudio di folla al Meeting di Rimini, di gran lunga il più applaudito fra tutti coloro arrivati sulla Riviera romagnola da Palazzo Chigi e dintorni; Scaroni ha alle spalle l’affetto incondizionato delle masse milaniste, come primo numero 1 post berlusconiano ad aver vinto lo scudetto, di governo da presidente e di lotta da tifoso.


Scaroni avrebbe battuto la concorrenza di Alessandro Profumo, un suo simile, e di Michele Uva, attuale alto dirigente Uefa, uomo di sport a tutto tondo. La sua nomina è draghiana in tutti i sensi e tra un po’, probabilmente, sentiremo parlare di “agenda Scaroni”. Come il suo grande elettore, Scaroni deve sistemare un po’ le cose, perché l’Olimpiade, come tutte le grandi opere italiane, accumula ritardi, aumenta le spese, somma le critiche. Urge un governo di unità sportivo-nazionale attorno a una figura di spicco che punti a risultati concreti. Alé. 

 

Insomma Scaroni è un Draghi prestato allo sport, un grand commis che ha saputo, però, calatosi in un ruolo come quello del presidente di un club calcio, attirare anche le simpatie popolari. Draghi e Scaroni sono sodali, tra loro esiste un lungo (decenni) rapporto di fiducia. Scaroni, poi, era nella delegazione che nel 2019 andò a conquistare i Giochi al Cio e, da amministratore delegato di Eni, appoggiò la candidatura olimpica.


Per puntellare la sua figura a livello nazional-popolare, Scaroni ha posto come condizione quella di non mollare la cadrega (cfr. Aldo, Giovanni e Giacomo) di presidente del Milan: in un momento particolare, in cui la proprietà del cui sta passando da Elliott a RedBird. Ma la ragione è che, da presidente del Milan, Scaroni si diverte e piace ai 70 mila di San Siro. Come dice uno dei nostri filosofi di riferimento “sappiamo bene che da noi fare tutto è un’esigenza” (Ivano Fossati) e sommare le cariche uno sport nazionale. Probabilmente, in caso di vittoria del centrodestra, Scaroni avrà anche l’appoggio del milanista Matteo Salvini, tifoso felice perché, sotto la dirigenza scaroniana, lo scudetto è tornato nella casa rossonera dopo undici anni di carestia. 


Infine Scaroni avrà più facilità a dialogare con Scaroni. Senza tirare fuori il conflitto d’interessi (che barba, che noia, direbbe Sandra Mondaini a un affranto Raimondo Vianello) ma un po’ per curiosità, un po’ per celia, sarà divertente vedere Scaroni presidente del Milan mentre dialoga con Scaroni presidente di Milano-Cortina 2026 a proposito di San Siro, inteso come stadio. Il primo, in combutta con il dirimpettaio interista Zhang, vorrebbe demolire l’esistente (dedicato a Peppin Meazza) e costruirne uno nuovo a qualche centinaia di metri di distanza ultratecnologico e moderno; il secondo, spalleggiato dal sindaco Beppe Sala, si vuole tenere l’anziano Peppin e utilizzarlo per l’inaugurazione dell’Olimpiade lombardo-veneta. Alla fine si metteranno d’accordo, ne siamo sicuri. All’italiana, spostando la questione un po’ più in là (dopo il 2026, appunto). Passata la festa (speriamo). 

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