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segreteria diffusa

Twitter è diventato il “Rousseau” del Pd

Andrea Minuz

Ogni target, ogni tribù reclama il proprio candidato. La bolla è la nuova base, e la bolla è in rivolta perché non si fa come dice lei. Così le liste del centrosinistra diventano un bagno di sangue pubblico, un regolamento di conti, uno psicodramma collettivo

L’assegnazione dei collegi del Pd infiamma Twitter. Come la ripresa del campionato, il tracollo di Dazn, le corna di Ilary e Totty, o la scomparsa di Piero Angela. Delle liste del centrodestra non frega granché a nessuno. Le liste del centrosinistra diventano invece un bagno di sangue pubblico, un regolamento di conti, uno psicodramma collettivo. C’è stato un tempo, ormai lontanissimo, sbiadito, novecentesco, in cui certe cose si calavano dall’alto, dalle segrete stanze, a giochi fatti, senza dare troppe spiegazioni. I segretari facevano i segretari. Le correnti facevano le correnti. Gli elettori facevano gli elettori.

Ora tutto uno scambio di ruoli, una strategia concordata giorno per giorno sui social, un affresco formicolante di richieste, proteste, rivendicazioni, piagnistei, una “segreteria diffusa”. Cosa ne sarà delle “istanze di noi giovani” senza Giuditta Pini? E dei diritti senza Monica Cirinnà? E le riforme senza i riformisti? E il garantismo? Com’è possibile che Letta non tenga conto dei miei post? Perché il candidato che retwitto da mesi non è in lista? La bolla è la nuova base, e la bolla è in rivolta perché non si fa come dice lei. Gli influencer del Pd propongono a furor di post liste alternative, dal basso, più eque, più giuste, più “attente ai territori”. Oppure più scaltre, competitive, attrezzate per la battaglia. Ogni target, ogni nicchia, ogni tribù reclama il proprio candidato. I sommersi vanno subito in tendenza: trombati dalla direzione, si trasformano in hashtag, come nuovi martiri sacrificati dalla politica intrallazzona, cinica, arraffona. I salvati si ritirano, in attesa che passi la tempesta. I candidati rifiutano seggi traballanti, in bilico, a rischio.

 

Oppure ci ripensano all’ultimo, come Cirinnà: “Vado in battaglia in un collegio perdente, lo faccio per amore e rispetto, e per salvare l’Italia dai fascisti”. Una volta si andava in montagna, adesso si lotta all’uninominale “Roma 4”, Ostia-Guidonia-Laurentino. I trombati, intanto, spiegano le oscure ragioni del segretario con un tweet per far montare l’indignazione. L’effetto vivo e immediato dovrebbe essere quello d’una dimostrazione pratica di “bella politica”. Di passione civile, amore per la democrazia, confronto, concertazione, libertà e partecipazione.

Può darsi. Ma c’è un’antropologia intramontabile dell’elettore di sinistra che i social incoraggiano, nutrono, soddisfano meglio del vecchio Partito. Nel turbinio dell’ascesa populista si sbeffeggiava lo streaming di Bersani e Crimi, si rideva dell’utopia della trasparenza assoluta, del mantra della democrazia diretta. Ma Twitter è diventato il “Rousseau” del Pd. Mancano solo i candidati dei collegi proposti a botte di like e retweet, come in una versione elegante e riflessiva della “parlamentarie” su SkyVote. Ma c’è la stessa incapacità di accettare la politica come arte della mediazione, del compromesso, della sopravvivenza, dell’errore, del “business as usual”. C’è l’idea di una concertazione permanente, orizzontale, condivisa, retaggio della cara, vecchia cultura assembleare. C’è la frustrazione di chi chiede sempre troppo alla politica, come quelli che ripongono ogni aspettativa esistenziale nella lettura dell’oroscopo. Conosciamo tutti un elettore del Pd che ha trascorso il ferragosto su Twitter a indignarsi per le liste di Letta, come fosse stato tradito, aggirato, ingannato, incredulo di fronte a una segretaria che decide diversamente da come si aspettava lui. L’elettore di centrodestra si porrà casomai il problema il 25 settembre, nel segreto dell’urna, dopo le ferie.
 

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