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Una partita che sembra già scritta

La mission impossible del centrosinistra, vista da politologi e sondaggisti

Marianna Rizzini

Come recuperare voti? Come parlare agli aspiranti astenuti? Girotondo con Vassallo, D'Alimonte, Piepoli e Masia. Le "ricette" per una difficile rimonta, i collegi "ininfluenti", le tre condizioni assenti

C’è l’accordo Letta-Calenda, resta la missione. Impossibile? Per togliere il punto interrogativo, che cosa devono fare ora gli attori nella metà del campo al momento svantaggiata? Puntare sui famosi 20 collegi chiave? Sulle parole d’ordine? “I collegi non sono il vero punto”, dice il politologo Salvatore Vassallo, docente di Scienza Politica, direttore dell’Istituto Cattaneo, già deputato Pd: “Mi riferisco al fatto che i candidati nei collegi non influiscono sul risultato in maniera vistosa, come si è visto nel 2018, anche in presenza di candidati particolarmente popolari o al contrario controversi. C’è una similitudine inappropriata da smantellare: è come se si considerassero i candidati nei collegi uninominali alla stregua dei sindaci, ma nel caso delle Politiche i ‘sindaci’ sono i leader dei partiti. La gente vota i leader come vota i sindaci. I candidati nei collegi stanno al leader come i candidati al consiglio comunale stanno al candidato sindaco”. Da analista, Vassallo considera la partita molto difficile: “Se si considera un centrosinistra composto da tutte le sue forze, con fuori i Cinque stelle che però sembrano in grado di ottenere almeno un 9 per cento, come affrontare la campagna elettorale? Diciamo che ora il centrosinistra è nella condizione giusta di poter combattere la battaglia, quantomeno per la riduzione del danno, a condizione che ciascuna componente faccia la sua parte senza mettere le dita negli occhi all’altra. Ciascuno insomma porti avanti la propria agenda, ciascuno mobiliti il suo elettorato. La legge oltretutto impedisce il voto disgiunto: che i leader modulino  il proprio impegno sul simbolo, ma giocando in positivo, senza esarcerbare le dissonanze”. Fatto sta che già ieri Nicola Fratoianni definiva l’accordo Letta-Calenda “non vincolante” per lui.

Il politologo Roberto D’Alimonte, docente di Sistema politico italiano alla Luiss, editorialista del Sole 24 Ore e fondatore del Cise, parte dalla certezza di questo momento confuso: “Il centrodestra è in pole position. Punto. Non sappiamo se con dieci o sette punti percentuali di scarto, ma lo è”. Che fare per recuperare? “Intanto”, dice D’Alimonte, “il centrosinistra deve mobilitare tutto il suo elettorato. Secondo: deve cercare di portare alle urne gli astensionisti. Terzo: deve rubacchiare voti al centrodestra. Se riesce a recuperare un 4-5 punti percentuali la situazione cambia”. Sempre più difficile. “Per riuscire nell’intento”, secondo D’Alimonte, “il centrosinistra deve fare tre cose semplici e complicate al tempo stesso: avere un programma, avere un leader, avere una comunicazione efficace. Secondo voi queste condizioni ora sono presenti? A me non pare. La destra invece un programma chiaro ce l’ha: no alle tasse, sì all’Ucraina, sì al presidenzialismo e alle autonomie. Quanto al leader, c’è la regola che chi ha più voti sceglie il premier, ma di fatto Giorgia Meloni è già in campo. E la comunicazione anche, non soltanto sulle tv di Silvio Berlusconi”. Eppure, “a non voler escludere il miracolo”, dice D’Alimonte, “immaginiamo che il centrosinistra si possa dotare in fretta di un programma efficace, e che Carlo Calenda, il più dinamico tra i suoi leader, riesca a emergere, beh, allora…C’è poi sempre la remota possibilità di quella che io chiamo ‘sorpresa di settembre’, come la ‘sorpresa di ottobre’ prima delle presidenziali americane: un elemento di politica interna o internazionale che cambi le carte in tavola”.

Nell’incertezza dell’oggi, il sondaggista Nicola Piepoli, fondatore e chairman dell’omonimo Istituto, sfida il centrosinistra a “presentare proposte  di legge per cui la gente cominci a seguirti come si seguono gli dei. Letta vuole vincere? Beh, non puoi pensare di farlo con proposte impopolari, vedi l’aumento delle tasse. Quindi Letta, se vuole vincere, proponga buone leggi e proponga la pace, nel senso della non belligeranza. Si può essere nella Nato e aiutare le popolazioni colpite senza armi, ma con la logistica e assistendo sul campo chi viene bombardato, da qualsiasi parte del campo si trovi. E poi: Letta si metta sulla lunghezza d’onda di Maria Teresa d’Austria in Lombardia, la donna che nel 1753, con una sorta di censimento-catasto sulle proprietà fondiarie, aveva posto le basi per l’affermazione dell’idea che chi ha creato ricchezza paga meno tasse. E ancora: perché la Francia sta meglio di noi? In Francia ogni bambino che nasce è a carico dello stato fino a 18 anni, e infatti non c’è un problema di natalità. Non solo: in Francia c’è l’Ena, scuola per chi vuole lavorare in politica. E i risultati si vedono”.

Dall’Emg, l’ad Fabrizio Masia, dati alla mano, dice: “Alla fine i conti devono fare 100. E’ vero che ora con il Pd c’è anche Calenda, ma resta comunque il dato di un M5s che, fuori, può arrivare al 10 per cento. Se il centrosinistra aggregasse l’aggregabile, avrebbe comunque un problema. Ecco, è una situazione difficile”. Ci sono  altre variabili, dice Masia: “Un polo di centro con un’agenda Draghi, e gli astenuti. Ma lo scarto è ampio, molto ampio”. 

 

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.