A sinistra

Sala non si candida. Calenda è detestato da mezzo Pd. La fatica di Letta, front runner

Carmelo Caruso

Orlando e Bettini avvisano il segretario: "Attenzione a Calenda". Il leader di Azione non vuole Fratoianni e Bonelli. Letta chiede a tutti i big di correre nei propri collegi senza paracadute

Amano la parola “compagni” e ora temono la compagnia di Carlo Calenda. Prima di ricevere dalla direzione Pd “il mandato pieno”, e all’unanimità, a negoziare “l’alleanza tecnica”, c’era chi avvisava il segretario Enrico Letta che Calenda è un satanasso e che, parole di Goffredo Bettini,  sempre intense e studiate, “ha come sua cifra fondante la distruzione dei partiti democratici e si vuole perfino ergere a giudice del Pd. Io stesso ne sono stato vittima”. Pure Andrea Orlando ha riconosciuto che il M5s dal 20 luglio è forza irresponsabile ma, e ascoltate come lo ha detto, “la responsabilità è fatalmente un discrimine ma non è sufficiente per vincere questa sfida”. Sono soli e con l’orizzonte davanti. Giuseppe Sala non si candida. Per la prima volta, il Pd, il partito che si è inventato “unioni” e “campi larghi”, scopre la solitudine della canoa, il mare aperto.


Era tutta una “tempesta”. “Grazie, segretario per guidarci in questa tempesta” (Irene Tinagli). Ed era tutta una lusinga ma qualcuna era più vera  perché  disinteressata. “Caro Enrico, ho apprezzato la tua relazione, la migliore da quando sei segretario” diceva il senatore Luigi Zanda che non si ricandiderà malgrado gli sia stata offerta la deroga. Pubblica dei libri bellissimi, in tiratura limitata, per gli amici. Uno dei questi è Kutuzov. Sono dei capitoli selezionati di “Guerra e Pace” dedicati al generale che riuscì a ingannare Napoleone, a trasformare la fuga in vittoria, uno che, come Letta ieri, si sarebbe definito “un front runner”.

 

Era insomma il Letta più “sereno” (anche Matteo Renzi forse l’ha imparato, si vince alla fine e chissà quale è la fine) il Letta della frase “io a Palazzo Chigi ci sono stato e vi assicuro che ho passato più giorni felici lontano da quel Palazzo che dentro”. Quando Matteo Orfini gli ha letto, quasi in diretta, la dichiarazione di Calenda: “Sono pronto a fare il premier”, Letta ha risposto di essere consapevole di dover parlare con “alleati faticosi” ma “ci proveremo e per questo chiedo un mandato pieno”. 

 

Dalle parti di Calenda, ogni volta che discutono di un’eventuale alleanza con Fratoianni e Bonelli (“da Tso sull’ambiente”) svengono. Ripetono che “il campo largo non è morto”. Sono tentati dalla corsa in solitaria. Dalle parti di Letta pensano invece: “Abbiamo fatto un governo con Lega e FI, davvero non siamo capaci di fare un’alleanza con Calenda?”. C’è più garanzia di stabilità tra chi si chiama per nome,   c’è più verità in questo rapporto tra rompiscatole che nei salamelecchi che il Pd per anni ha rivolto a Giuseppe Conte e al suo governo, di cui precisava Letta, “non dobbiamo pentirci”.

 

Peppe Provenzano si è già seduto nel posto giusto della storia “come del resto il nostro partito”. Ha definito la scelta del M5s “un errore imperdonabile”. Laura Boldrini, colei che si è lamentata per anni di essere attaccata dalla “Bestia” di Matteo Salvini ha spiegato  che il Pd si dovrebbe dotare di una di Bestia democratica perché “serve una regia sui social”, prima di scandire “l’agenda Draghi non vuol dire nulla”. Ce l’aveva anche con Di Maio per le sue passate dichiarazioni sulle ong come taxi del mare: “Io non vedo in queste alleanze un  valore aggiunto”. Le direzioni del Pd, a volte, servono a questo. A compiere operazioni di rimozione collettiva: il M5s, il governo Draghi che già sembrava un passato remotissimo perché “l’agenda è solo agenda Pd”. Servono anche a fare squadra e dirla enorme.

 

Erasmo Palazzotto ha addirittura immaginato che “se vince Giorgia Meloni il diritto all’aborto è in discussione”. C’è chi a volte nota: ma cosa possiamo aggiungere oltre la cronaca? La risposta è: si può aggiungere una miniera. E’ nei dettagli che si nasconde la natura delle cose. Ieri, ad esempio, questo partito ha derubricato la grande questione, e la grande illusione M5s, con questi termini: “Il M5s ha risolto la sua natura scegliendo la peggiore destra di sempre”. Sono sempre frasi di Provenzano, che ha parlato anche di tanto altro e anche bene (“il nostro nemico prenderà le nostre parole fino a renderle irriconoscibili”) ma erano anche frasi di Gianni Cuperlo che individuava nella scelta del M5s di rompere il “folle tentativo di rigenerarsi”.

 

E’ ancora l’idea che gli ex amici  del M5s fossero “compagni” e che alla fine hanno scelto la destra, il “fronte irresponsabile”. Era un’assoluzione diciamolo pure così come va detto che l’unico che ha avuto la forza di dimenticare il M5s è stato Stefano Bonaccini: “Non credano di avere gente che partecipa. Saremo educati, composti ma determinatissimi”. E’ uno che ci crede che si possa vincere come ci crede Letta che ha chiesto ai suoi, big compresi, di candidarsi nei territori e di non chiedere paracadute: “Giocatevela come ho fatto io a  Siena”. Si dice che abbia già incontrato Calenda in segreto e che non vuole dirlo. Sala che ha incontrato Letta-Di Maio, ieri, ha precisato che “darà una mano ma che non è della partita”. Di Maio ha ottenuto però di averlo come  “padre nobile”.

 

Fratoianni e Bonelli dovrebbero  assemblare una lista propria, alleati con Letta. Ci sarà poco spazio per novità ma potrebbero essere candidati alcuni garanti del Pd come Annamaria Furlan e Cesare Fumagalli, un bel lombardo che in segreteria si è occupato di impresa. Letta ha citato nella sua relazione Fabrizio Barca e qualcuno ha pensato che fosse più di una citazione. E’ il mare il vero protagonista di questa campagna elettorale: il naufragio, la traversata, il porto, i collegi salvagente…

  

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio