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Gli operai nell'urna

Quanto peseranno sul voto globalizzazione e immigrazione. Dialogo con il prof. Reyneri

Dario Di Vico

Effetti imprevisti, dinamiche da studiare, traiettorie da consolidare e peso dei diritti civili. Le città con più immigrati vanno a sinistra, le province in cui ce ne sono meno vanno a destra. Perché? Idee

Ma è proprio vero che il clamoroso rovesciamento di posizioni rispetto alla metrica elettorale del Novecento, ovvero i ceti deboli che abbandonano la sinistra e abbracciano le destre, è interamente dovuto alle dinamiche della globalizzazione che avrebbe spinto i losers in mano alle Meloni e ai Salvini e i winners a votare Pd? Nando Pagnoncelli pubblica circa ogni sei mesi uno studio sulla composizione sociale dei consensi elettorali, almeno come vengono fuori dai sondaggi elettorali di Ipsos, e il dato che colpisce di più è sempre quello che riguarda l’orientamento di “operai e affini”.


L’erede della tradizione delle sinistre, il Pd, prende nettamente meno di Lega, Fratelli d’Italia e Movimento 5 Stelle: rispettivamente 12,5 per cento contro 21,9 per cento, 23 per cento, 14,6 per cento. Se vogliamo calcolare anche Sinistra Italiana e i Verdi la quota delle sinistre aumenta solo del 3,5 per cento. Non è una novità assoluta, anzi ormai è una tendenza più consolidata con la sola eccezione dell’inserimento piuttosto recente di FdI, che ha sottratto alla Lega una quota significativa di tute blu. A fare da contraltare a questa diaspora operaia c’è il rafforzamento del ruolo del Pd come partito di una parte consistente della classe dirigente, segnatamente quella urbana e cosmopolita, posizionamento al quale fa da corona però un’ottima performance tra i pensionati. Secondo il sociologo del lavoro Emilio Reyneri, professore all’Università Milano Bicocca, queste tendenze sono abbinate a fenomeni strutturali che hanno visto una forte polarizzazione del lavoro, con una decisa specificità italiana. 

 

Mentre infatti nella maggior parte dei paesi occidentali la crescente divergenza porta a un ampliamento sia della parte alta della piramide dei lavori sia di quella bassa, da noi non stiamo assistendo a un significativo aumento della migliore occupazione. In sintesi: la fascia dei lavori medi si contrae, quella bassa si gonfia, quella alta cresce troppo poco. Visto che a trainare nuova occupazione nell’economia moderna sono i servizi ci troviamo di fronte al deprimente fenomeno italiano del terziario low cost che vede aumentare il lavoro strutturalmente precario nei servizi di ristorazione e tra gli stagionali (che secondo Reyneri va distinto dai contratti a tempo determinato nella manifattura che invece non vanno etichettati come precari). “La composizione dell’occupazione corre verso il basso e nei servizi le retribuzioni sono decisamente più ridotte che nell’industria”.

 

Ma che c’entra questo slittamento verso il basso con il voto operaio alle destre? “C’entra perché interrompe la mobilità sociale dei figli degli operai. Secondo un’indagine che ho fatto sui dati Istat 2009 il primo lavoro dei figli di operai si indirizzava verso la fascia bassa per il 48 per cento più di quanto avvenisse nel lontano 1945-1958. Non ho avuto modo di ripetere quella simulazione ma sono convinto che la tendenza si sia rafforzata in negativo e sia diminuita la collocazione verso la fascia alta che nel 2009 comunque era ancora al 20,3 per cento”. Questo processo, secondo Reyneri, ha avuto evidenti riflessi in termini di orientamento politico e ha contribuito a far crescere il consenso populista a causa di un effetto-frustrazione. Nello schema “padre operaio, figlio cameriere” il primo legge una retrocessione in atto rispetto non solo alle proprie legittime ambizioni di mobilità generazionale ma anche a un differente corpus di tutele e di paghe. “Purtroppo mancano ricerche che aiutino a capirne di più perché l’Italia è diventato un paese in cui gli studiosi fanno fatica a smanettare con i numeri e preferiscono frequentare i talk-show”.

 

Nella percezione del declassamento bisogna ricordare come l’operaio sindacalizzato del Novecento, spesso autodidatta, avesse un’alta considerazione di sé e della propria missione, pensasse che la fabbrica senza di lui non sarebbe andata avanti anche se magari il suo contributo concreto si limitava a discutere alcuni ricaschi dell’organizzazione del lavoro, la gestione dei passaggi di categoria contrattuale o l’ottimizzazione dei programmi produttivi. Tutte competenze che però nel frattempo sono state mangiate dall’avanzamento tecnologico che richiede sicuramente una professionalità 4.0 ma lo chiede a un numero di tute bianche nettamente inferiore a quello dei delegati di fabbrica coinvolti nella vecchia contrattazione di reparto. Commenta Reyneri: “Nel paragone padri-figli bisogna tenere presente come in questi anni sia aumentata la scolarizzazione ma non la competenza. I risultati delle indagini Ocse lo dimostrano, un nostro laureato medio vale come un diplomato olandese. Purtroppo”.

 

Ma torniamo alla qualità del lavoro e ai riflessi che genera. “Non dimenticherei che quella tensione a sentirsi parte dirigente era alimentata da un’ideologia forte che invitava l’operaio a studiare per migliorare l’organizzazione del lavoro. Cosa è cambiato? Molte di quelle lavorazioni non si fanno più da noi, si sono delocalizzate per effetto di una nuova divisione internazionale del lavoro che le ha portate in Asia”. Quindi hanno ragione quelli che dicono che è stata la globalizzazione a spingere gli operai a destra? “Così è un’affermazione tranchant. C’è un passaggio intermedio”. La globalizzazione ha agito sulla polarizzazione delle occasioni di lavoro e sul loro prevalente impoverimento, da cui il combinato disposto di mobilità discendente e frustrazione. Che va a incrociarsi inevitabilmente con il tema dell’immigrazione. Perché le città dove ci sono più immigrati vanno verso sinistra mentre la provincia e le valli, dove ce ne sono meno, si orientano verso destra? La risposta per Reyneri è ancora nelle occasioni di lavoro. In città gli stranieri sono complementari a un mercato che sforna più posti di lavoro in alto per gli italiani e riserva agli ultimi arrivati in prevalenza quelli in basso. In provincia dove le occupazioni pregiate sono di meno gli stranieri finiscono per diventare concorrenti degli italiani e da qui una sorta di sciovinismo del welfare e una presa di distanza identitaria che si riflette con il voto alle destre. Il tutto con differenze territoriali straordinarie. “A Milano capita così, già a Sesto San Giovanni non è lo stesso, nelle valli tutto è diverso”.

 

Nel determinare il flusso dei consensi a destra pesa anche il tema della differenza tra diritti civili e diritti sociali. Nelle città si è creata e acquista sempre maggior peso un’opinione pubblica molto attenta ai diritti delle minoranze e con una capacità di “voice” crescente. In parallelo quello che era il tradizionale megafono dei diritti sociali, il sindacato, pur conservando gli iscritti ha visto ridursi la sua azione in prevalenza alla fornitura di servizi previdenziali e amministrativi. Una sorta di sussidiarietà vs lo stato inefficiente. “Se vogliamo usare lo schema dei ceti medi riflessivi possiamo dire che questi ultimi hanno acquistato maggior peso nella vita pubblica. La politica milanese, se vogliamo, è dominata da loro mentre non contano più come prima non solo i sindacati ma anche i commercianti, che in passato ai tempi di Craxi condizionavano la vita dei partiti”. Molte di queste considerazioni servono a riempire quello schema di conflitto città-campagna, una costante delle elezioni in occidente, e che a sua volta presenta delle altre contrapposizioni. Il salutismo gastronomico è differente se visto da Milano o da Cremona, la relazione con la propria autovettura in città si sta azzerando mentre in provincia è sempre coltivata e si potrebbe continuare per un pezzo. Ma stante questo puzzle di fatti concreti, di opinioni e di orientamenti il ritorno della sinistra tra i ceti popolari è un fenomeno da escludere in assoluto, i sondaggi ci consegnano una fotografia che non si cancella più? “E’ una domandona – risponde Reyneri – ma tenderei a dire che non si intacca la polarizzazione dei lavori nella versione italiana quel trend è destinato a continuare a lungo. Bisogna aumentare l’offerta di buona occupazione e di innovazione per evitare quella polarizzazione rovesciata che sta all’origine dei nostri mali, non solo politico-elettorali”.
 

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