Il caso

I tormenti di Salvini sul voto anticipato, Meloni non si fida. Scene da Quirinale bis

Gianluca De Rosa

Il leader della Lega tentato dall'opzione urne subito, ma soffre la spinta dei governatori. La leader di Fratelli d'Italia rivede il film dell'elezione del capo dello stato, boccia il vertice con gli alleati: "Solo quando questa esperienza sarà chiusa". E così la questione collegi rimane aperta

Matteo Salvini e Silvio Berlusconi non scaricano l’ipotesi dei “tempi supplementari” per Mario Draghi, Giorgia Meloni teme un Quirinale bis, con gli alleati che preferiscono il governo al centrodestra, e spera, paradosso, nella coerenza del presidente del Consiglio. Il Cav. e il segretario leghista si sentono al telefono la mattina. Al termine viene diramato un comunicato congiunto che mette nero su bianco la linea. “Il centrodestra di governo vuole chiarezza e prende atto che non è più possibile contare sul Movimento 5 Stelle. Ascolteremo le considerazioni del Presidente Draghi, che ha reagito con comprensibile fermezza di fronte a irresponsabilità, ritardi e voti contrari. Continueremo a difendere gli interessi degli italiani con serietà e coerenza”. Insomma se Draghi è disposto ad andare avanti senza i 5 stelle Lega e FI saranno della partita.


Un’apertura, ma solo a metà perché il presidente ha sempre detto che la condizione per andare avanti era proseguire con l’attuale maggioranza. A fine giornata lo ammette anche il più “draghiano” della Lega, il ministro allo Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti: “Ho parlato di tempi supplementari, ma le squadre mi sembrano un po’ stanche, mi pare una partita molto complicata da sbloccare, anche vista l’imminente scadenza elettorale”. Insomma, la strada è stretta. Talmente stretta da generare ottimismo dentro Fratelli d’Italia. Ignazio La Russa che due giorni fa al Senato borbottava: “Non vogliono farci votare”, adesso ci crede. Al Foglio dice: “Stanno cercando in tutti i modi di trovare un modo per non mandare gli italiani al voto, le pare normale che tra le dimissioni consegnate al Quirinale e le comunicazioni al Senato passino sei giorni? Ma stavolta non basterà”. Nonostante la convinzione che anche nel centrodestra ci sia chi lavora alla prosecuzione della legislatura, in FdI sono felicemente convinti che non ci sia più molto da fare. Per paradosso sono loro, che per 17 mesi gli hanno fatto opposizione, ad avere fiducia in Draghi: “Si è dimostrato ancora una persona seria e coerente, la sua mi sembra una posizione irrevocabile”, dice La Russa. E a quel punto, i meloniani lo danno per scontato: “Gli alleati non potranno sostenere un altro esecutivo, c’è solo il voto”. E se così non fosse? Giorgia Meloni intervistata dal Corriere.it lo ha detto subito: “Considerei molto grave se invece gli alleati si prestassero, addirittura in assenza di Mario Draghi, a portare avanti la legislatura”. Sarebbe un Quirinale bis, ancora più potente per il centrodestra, la fine della coalizione. E però, Salvini potrebbe scrivere insieme al Pd una nuova legge elettorale, il proporzionale. Ma è fantapolitica. In FdI, tra l’altro, sono convinti che non sia questa l’intensione del segretario leghista. “Salvini vuole andare a votare”, dice La Russa. “Il comunicato con Berlusconi serviva perché devono marciare insieme, ma la clausola sui 5 stelle può portare solo alle urne”.


Eppure non è solo l’alleanza con FI a far tenere a Salvini le porte della legislatura ancora aperte: i leghisti non vogliono dare la percezione al mondo degli imprenditori di essere come i grillini, i governatori del Carroccio chiedono stabilità. “A livello nazionale è un momento complicato. La stabilità per qualsiasi Paese è fondamentale”, dice Luca Zaia. Ci sono poi i gruppi parlamentari. Salvini li incontrerà in assemblea lunedì sera. In tanti temono di non essere rieletti. Non è un caso che dopo la chiamata tra Berlusconi e Salvini a un certo punto da FI fanno filtrare che si lavorerebbe a un vertice della coalizione a stretto giro a villa Certosa, residenza estiva di Berlusconi in Sardegna. Un incontro per capire come andare al voto: fissare le regole prima di decidere di staccare la spina alla legislatura. Ma è Giorgia Meloni che stoppa subito questa possibilità e, per diffidenza, chiede anche di formalizzare le riunioni della coalizione: “Quando questa esperienza verrà dichiarata chiusa potremmo tornare a vederci tutti insieme. E credo dovremmo farlo in una sede istituzionale, con un ordine del giorno e con delle decisioni prese”. Premiership e collegi sono le delicatissime questioni sul piatto. Con i sondaggi in picchiata e il numero dei parlamentari drasticamente ridotto in tanti nella Lega come in FI rimarrebbero fuori, a meno che non diventassero i candidati della coalizione negli uninominali, dove il centrodestra, è convinzione persino nel Pd, farebbero man bassa. Ma su questo Meloni non ha alcuna intenzione di trattare: “Le regole che valevano per Lega e Fi devono valere anche per noi”. Traduce subito: “Il partito che prende più voti esprime il premier e i collegi si distribuiscono in base alla media dei sondaggi”. Insomma porta in faccia.