L'intervista

Rossi, l'uomo-Rai di Meloni: "Azienda in dismissione: è il comitato d'affari del Pd"

Simone Canettieri

Parla l'antenna di Fratelli d'Italia nella tv pubblica: "La storia di Orfeo e Fuortes è un epifenomeno: c'è la debolezza politica dell'ad e le difficoltà della struttura. Noi al governo non faremo come la sinistra. I leghisti? Si stanno spostando, è vero".

“La storia di Fuortes e di Orfeo non ha una morale perché non esistono morali nelle questioni che riguardano la Rai e la politica in generale. E’ però un epifenomeno, questo sì. Un chiaro segno di debolezza dei vertici dell’azienda legato a problemi politici e industriali”.

Per Giorgia Meloni, Giampaolo Rossi è il cavallo vivente (non morente) di Viale Mazzini. E’ tele-Giorgia. L’articolazione di Fratelli d’Italia nella radio-tv di stato. La “bussola”, come già lo chiamavano ai tempi universitari del Fuan. Conosce le facce e i corridoi. In questo momento c’è un mondo – fatto di importanti giornalisti, dirigenti, fonici, registi e vattelapesca – che gli chiede di prendere un caffè. Rossi nega, si schermisce. Ma in Rai il declino di Matteo Salvini  è stato annusato prima dei sondaggisti. E dunque oplà. Rossi ha fatto parte, in quota opposizione del precedente cda di Fabrizio Salini, ma riusciva a incidere più di Lega e M5s. “Adesso la minoranza non è rappresentata nel consiglio d’amministrazione, non ha la presidenza della Vigilanza e non è nemmeno nell’Agcom: un problema democratico, no?”.  


Rossi riparte dalla storia dalla rimozione di Mario Orfeo dagli Approfondimenti, seguita dalla nomina alla direzione del Tg3, dopo levata di scudi del Pd.

“Premessa: non ho mai visto uno spostamento così a sinistra della Rai, come è avvenuto in quest’anno e mezzo, nemmeno se il Pd avesse vinto le elezioni. La Rai è percepita dalla sinistra come una proprietà privata. Una perenne occupazione degli spazi simbolici del potere,  ultima ridotta dell’egemonia gramsciana. Ma senza grandi ideali:  è solo un terreno di scontro di  comitati d’affari, una lotta fra correnti”.

Lo dica, anche lei ha fatto il tifo per Orfeo. “Con il direttore siamo lontani anni luce politicamente, ma oltre a essere un bravissimo giornalista è veramente un uomo azienda. Ma anche qui registro una cosa folle. Prima Fuortes ha tolto dal Tg3 un direttore del calibro di Mario Orfeo, lo ha messo alla direzione di genere e alla fine, alla vigilia dei palinsesti, lo ha rimosso e rimesso al Tg3”.

La Rai, come sostiene questo giornale, è il primo fallimento visibile di Draghi.  

“Di sicuro all’interno della narrazione del premier rappresenta un inciampo. Ma lo si era capito subito: mettere un ottimo manager, ma senza competenze specifiche né esperienze precedenti con un’azienda così grande è stato un azzardo. Lo sa che il budget del Teatro dell’Opera, da cui viene Fuortes, è la metà di quello di Rai2?”.

Ma è sicuro che se dovesse andare al governo Meloni le cose cambierebbero? Suvvia, la Rai sembra irriformabile.

“Non la penso così. Di sicuro è un’azienda in dismissione. Sono state fatte scelte sbagliate sin da quando, nel 2014, Renzi decise di abbassare il canone, tra i più bassi d’Europa. La Rai nelle classifiche europee, al di là delle nostre critiche, è considerata uno dei migliori prodotti di servizio pubblico e tutto questo con la metà dei finanziamenti. Purtroppo  per la politica la Rai è occupazione del potere. Servirebbe una riforma per ripensare alla funzione del servizio pubblico come grande luogo dell’immaginario collettivo”.

Insistiamo: come dovrebbe essere la Rai del governo Meloni?

“Basterebbe non avere della Rai l’idea che ha la sinistra: è un patrimonio straordinario, ma anche l’argine per l’invasione dei player globali che possono fagocitare il nostro mercato. E’ un patrimonio comune, rappresenta tutti”.

Patrioti in Viale Mazzini.

“Guardi che la situazione è complicata: i vertici dell’azienda si apprestano a varare di fatto il nostro piano industriale, quello del precedente cda, con la riforma dei generi ma senza logiche produttive e razionali. I problemi tra Fuortes e Orfeo credo che nascono anche da questo”.

Su questa vicenda FdI non ha fatto rumore perché sperava in una promozione, di sponda, di Angelo Mellone.

“La politica è rimasta in silenzio perché a volte è meglio tacere”.

Quanti ex salviniani alla ricerca di un ricollocamento la stanno chiamando?

“Posso immaginare che ci sia un travaso, che un mondo di dirigenti di centrodestra possa guardare a Fratelli d’Italia invece che alla Lega e Forza Italia. Ma alla fine l’importante  per chi lavora in Rai è portare a casa il prodotto”. Le piace #Cartabianca? “E’ uno spazio di pluralismo. I talk in generale hanno il fiato corto, ma i nostri non scadono nel trash”.

E sulla guerra?

“Tutto sta a chi conduce: c’è un confine fra la libertà di parola e la realtà. Basta rispettarlo: è la vera sfida dei nostri tempi”.
 

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.