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Scusi, c'è un prof?

La scuola non è tutta uguale

Concorsi, discriminazioni e "percorsi"

Maurizio Crippa

Cattedre vuote e precari da piazzare, In attesa che decolli la riforma del sistema della formazione e del reclutamento, percorso con molti ostacoli, reta la solita arma a doppio taglio dei concorsi. Che serve a svuotare le liste d'attesa, ma rischia di creare disparità poco giustificabili. Ma c'è un'emergenza, e a tutti va bene così

Milano. Scusi dove trovo un prof.? Non è la stessa situazione dei camerieri estivi, in via d’estinzione tra paghe basse e redditi di cittadinanza. Ma la carriera di insegnante, nelle scuole italiane di ogni ordine e grado, è impervia, labirintica e lastricata di ingiusti trattamenti. Il risultato di decenni di mancata programmazione è oggi paradossale: cattedre a migliaia scoperte, ma i precari in attesa di uno straccio di contratto dal ministero e iscritti alle Gps, il girone infernale delle Graduatorie provinciali per le supplenze, sono 600 mila. Inoltre, migliaia di docenti (i più giovani) non riescono ad accedere all’abilitazione. La soluzione per sturare lo strozzo tra domanda e offerta è sempre quella, i concorsi a cattedra riservati: tappare buchi e sistemare precari, per il merito poi si vedrà. Nel frattempo è al vaglio in questi giorni al Senato la riforma del sistema di reclutamento – sono le norme sulla formazione e il reclutamento, previste dal decreto di aprile 2022 per il Pnrr – e dovrebbe essere l’auspicata soluzione, in tempi medi, del problema. Che però porta in sé i germi di ulteriori inefficienze e di possibili disuguaglianze. Uscire dal caos non è facile.

 

Il Foglio ha sollevato ieri – in un generale silenzio dai molti significati – lo strano caso del concorso “straordinario-bis” che distribuirà 14 mila cattedre ma a cui possono accedere solo i precari che abbiano svolto almeno tre anni di servizio nelle scuole statali. Sono invece esclusi coloro che hanno lavorato nelle scuole parificate – seppure lo stato riconosca come equivalente a tutti gli effetti l’insegnamento lì svolto – limitazione assente in passato. Ma avviene, in modo un po’ surrettizio, da quando la legge del 2020 per il “reclutamento urgente” ha stabilito di riservare l’accesso ai soli precari statali. L’ipotesi che sia una prassi discriminatoria è stata cassata da una sentenza del Consiglio di stato (le norme concorsuali rispettano la legge, ha stabilito: quella appunto del 2020) e l’interpretazione corrente che giunge dal mondo della scuola è pragmatica: meno pretendenti, e se lo stato deve inserire personale è normale che vada ad attingere al suo bacino di lavoratori già rodati, e non a quello degli altri (i privati). Ragionamento che sarebbe perfetto – e una novità assoluta: lo stato che si comporta come un vero imprenditore privato, una rivoluzione – se non fosse che ci sono di mezzo concorsi pubblici. A essere discriminati sono gli insegnanti delle paritarie, ma attorno a loro c’è un significativo disinteresse. Non è difficile immaginare che ai gestori delle scuole paritarie – siano religiose, laiche o di tipo cooperativo – vada bene così: in quella guerra tra poveri che è la scuola, ogni infornata nel pubblico porta a un esodo dal privato e apre buchi difficili da riempire. Anche perché, se si esclude la marea dei postulanti di stato, gli aspiranti insegnanti in Italia sono in verità pochi: come i medici e gli infermieri. Programmazioni? Mai fatte. Il riservato-super riservato va bene ai sindacati, garanti veri o presunti dei precari, e va bene allo stato: da anni minacciato dalla spada di Damocle di una possibile condanna europea per l’inadempienza contrattuale verso i suoi lavoratori. Dalla Buona scuola in poi, la vera mission di ogni ministro è stata prosciugare la sacca. Persino la Cei, che da sempre a parole rivendica una parità non discriminatoria per le sue scuole, non ha interesse ad aprire contenziosi.
La cosa veramente complicata è il percorso per riempire le cattedre, e anche qui c’è un problema di equità su cui invece il sistema delle paritarie cerca di far sentire la sua voce. Il “riordino di formazione e reclutamento” (vulgaris: come si impara a fare l’insegnante e come si ottiene un posto di lavoro nella scuola) ora al Senato finalmente detta un percorso che, a regime, dovrebbe creare gli insegnanti del futuro (l’Ocse 2021 segnala che il 58 per cento dei 900 mila docenti italiani ha almeno 50 anni, contro la media Ocse di 33) attraverso  università, crediti, tirocini. Sul modello europeo. Il problema resta la “fase transitoria”, ed è qui che ancora si manifestano possibili disparità rispetto alle paritarie, su cui un manipolo di politici appassionati della scuola si sta impegnando, anche in modo trasversale. Ieri Valentina Aprea di FI era al convegno “Didactica” organizzato da Tuttoscuola a Firenze (c’erano le ex ministre Lucia Azzolina e Valeria Fedeli) e fra le tante cose ha sottolineato il rischio che i docenti delle scuole  paritarie non possano, per anni ancora, accedere all’abilitazione, resa però un obbligo dal 2000. Per mancanza, da anni, di concorsi abilitanti. Un paradosso. Con la Buona scuola, il nuovo sistema per le abilitazioni era iniziato. Ma nel 2018 un’iniziativa improvvida del ministro Bussetti (governo Conte I) portò indietro le lancette: addio abilitazioni attraverso i corsi di formazione (la scusa populista era che fossero a pagamento), per avere l’abilitazione si tornava al concorso “secco”: chi vince si abilita, e appena c’è una cattedra la ottiene. Ma se i docenti delle paritarie non possono accedere al concorso? Questa disparità preoccupa molto le scuole private, anche perché gli istituti sono costretti a erogare solo contratti a tempo determinato ai molti non abilitati. Una situazione irregolare, e una grave penalizzazione per una ampia fascia di docenti: spesso giovani che preferiscono una cattedra vera all’attesa infinita degli spezzoni e delle supplenze.

 

In più ci sono, ma a nessuno interessa denunciarle, licenze da regime zarista: il “straordinario-bis” ha, tra le varie caratteristiche, quella di essere ridotto a un orale pro forma, e di prescindere dalle classi di concorso: un insegnante che abbia fatto tre anni continuativi di sostegno alle medie inferiori può ottenere una cattedra di liceo senza altre verifiche. E questo mentre non si placano le polemiche per un concorso “ordinario” che ha falcidiato i concorrenti in base a un sistema di quiz nozionistici completamente avulso dalle vere abilità che un docente dovrebbe dimostrare. Del resto, prima ci sono sempre i precari da piazzare. Per ora va così, ma la fase è transitoria.
 

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"