I signori tatto

Draghi-Letta, ecco come nasce il "G2 anti sfascio". Rapporti, maestri e uomini di collegamento

Carmelo Caruso

Il premier ha scoperto di avere un partito, e il segretario ha trovato una missione per il Pd. La posizione ucraina, la sintonia a tre con Macron, il comune maestro Andreatta. Ragioni di una complicità

Sono i precetti dei matrimoni felici. “Chiamarsi all’occorrenza”; “sostenersi nel bisogno”; “non soffrire dei successi dell’altro” e la sera, prima di andare a letto, “sfogliare il Financial Times e una copia di Tex Willer”. Ci sono due italiani riservati, Mario Draghi ed Enrico Letta, che hanno trovato nelle loro “camere separate”, nei loro rispettivi ruoli, la serenità e l’intesa, la formula del sorriso che resta il difficile mestiere, l’arte degli uomini risolti. Sono  i “signori tatto” al punto che, per tatto,  malgrado si diano del “tu”, preferiscano entrambi il “lei”,  che per Leonardo Sciascia era il prefisso dell’educazione: “Ci conosciamo da tanto tempo. Diamoci del Lei”.


Come Beniamino Andreatta, che è stata la cera culturale di entrambi, pure Letta, se fosse di fronte a Draghi, in un Cdm, c’è da scommettere, risponderebbe come fece il “ministro” Andreatta con il “presidente” Prodi. Alla domanda di Prodi: “Beh, professore, che facciamo? Possiamo darci del tu?”, Andreatta: “Beh, presidente, siamo andati sempre così d’accordo con il lei perché non continuare?”.


E’ dunque nel nome di Andreatta, il “ministro Nino” (per Letta) e il “professore che mi ha insegnato che le cose si fanno e che non agire è immorale” (per Draghi) che si sta fortificando l’Italia del tovagliolo sui pantaloni, una volta seduti a tavola, del bicchiere di vetro al posto del bicchiere di plastica, quella del poco, piano, meglio.


E’ l’Italia che non fa le cose per piacere, ma fa le cose che gli piacciono, il paese degli uomini come Bobi Bazlen (Bobi, Adelphi) che prediligono il metodo dell’ “a poco a poco”. E infatti, “a poco a poco”, le posizioni di Draghi e Letta, sull’America, si sono conciliate fino a risultare medesime. Draghi di fronte a Biden ha dimostrato che non è vero che l’Italia è un paese “a rimorchio”. Letta, parlando, al Foglio della Confederazione Ue (una comunità allargata alle nazioni che sono uscite e quelle che vogliono entrare) ha invece ispirato Emmanuel Macron che di Draghi è il “compain”. Lo ha notato la Frankfurter Allgemeine Zeitung, il quotidiano che viene letto a Sciences Po e all’Istituto Delors.


Di Sciences Po, Letta è stato il preside prima di tornare in Italia, del Delors è il presidente. Esiste un lungo album fotografico condiviso da Letta e Draghi e basterebbe sfogliarlo per comprendere che quella che sta nascendo tra Draghi e Letta non è un’alleanza (Draghi non è un politico). Si tratta di assiduità, dopo il “non perdiamoci di vista”, il guardarsi da lontano saltando sulla scaletta di un aereo in tutti questi anni.

 

Si sono conosciuti la prima volta quando Draghi era direttore generale del Tesoro e Letta il segretario del Comitato per l’Euro. Il 15 febbraio 2011, partecipavano, insieme a Carlo Azeglio Ciampi, all’evento organizzato dall’Arel, l’associazione di Letta, sull’autonomia monetaria. Il 19 settembre del 2018, a Berlino, alla conferenza, ancora sulla moneta comune, con il futuro premier tedesco Olaf Sholz, due erano gli italiani invitati. Erano Letta e Draghi. Il numero 3/2021 della rivista Arel raccoglie un testo “Costruiremo una Ue più moderna e solidale”. E’ a firma Draghi. Ecco perché se uno si scopre, (Draghi) “esiste solo la vittoria dell’Ucraina”, l’altro (Letta) lo copre.


A Washington, Draghi, ha parlato di “cominciare a ragionare su come costruire la pace” e Letta, pochi giorni prima ha proposto  il “quintetto per Kyiv”, i cinque per la pace (Italia-Francia-Germania-Polonia-Spagna). Si sentono al telefono con la regolarità e quando non accade, a tenere i rapporti, ci pensano il soprasegretario Roberto Garofoli, che è un antico amico di Letta, e il capo di gabinetto di Draghi, Antonio Funiciello, che parlava di Pd prima ancora di Walter Veltroni e con Veltroni.


E naturalmente , Draghi e Letta, non si molestano al telefono con gli sms e non si adulano perché non si soffrono e non si invidiano anche se per Letta “Draghi è già una figura nella storia” e Letta, “un leader che non si è ammalato del complesso di inferiorità”. Quando Letta è stato chiamato da Parigi, a soccorrere il Pd, al governo, l’idea era che fosse “un medico di medicina interna convocato al capezzale di un partito fermo”.

 

Dopo pochi mesi, Letta, ha dimostrato come si ri-costruisce una identità e sulla guerra in Ucraina come si sta dentro la Storia. E infatti, quando Draghi dice che “la pace bisogna volerla”, Letta ricorda, ai suoi, a Giuseppe Conte, con cui riesce a non litigare nonostante straparli di “governo senza mandato politico”, che “oggi si può ragionare di pace solo perché l’Ucraina ha resistito”.

 

E quando, a  tutti e due,  chiedono “cosa fate per costruire la pace?” rispondono in coro: “Dovete dirlo prima voi. Troppo semplice dire pace”. Ecco perché sono senza dubbio i due italiani di governo più conosciuti all’estero, quelli di cui non si deve arrossire. Italiani quando serve, cosmopoliti senza esibirlo, europei e “me ne vanto”. Sono il manico e la stecca di un ombrello, il G2, lo scudo anti sfascio.
 

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio