L'altro 25 aprile

Chi ripete vecchi slogan anti-Usa “è un avversario”, dice il deputato pd Claudio Mancini

Marianna Rizzini

Chi sono quelli che in piazza contestano Enrico Letta? Perché ricalcano antichi ruoli?

La piazza del 25 aprile, la partecipazione, le parole del presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Ma anche le bandiere americane fischiate, gli striscioni anti-Nato e le contestazioni alla Brigata ebraica e al segretario del Pd Enrico Letta. Sembra che ci sia a sinistra una sotto-piazza antistorica, che procede con il volto girato all’indietro di venti, trenta, quarant’anni. “Sembra di sentire quelli che durante i cortei, negli anni del liceo, qualsiasi fosse la ragione del manifestare, gridavano  ‘fuori l’Italia dalla Nato’ e poi ci tiravano qualche sampietrino”, dice il deputato pd Claudio Mancini, che in più di cinquant’anni anni di vita e oltre trenta di militanza politica di piazze ne ha viste tante. “Se tu vai alla manifestazione del 25 aprile con striscioni anti-americani o non conosci la storia o sei in malafede”, continua Mancini, il cui nonno, membro della Brigata Garibaldi, ha combattuto da partigiano con azioni di sabotaggio per aiutare lo sbarco Usa ad Anzio, motivo per cui dopo la guerra è stato anche insignito di una speciale onorificenza. “Basta andare al cimitero americano di Nettuno per rendersi conto del tributo pagato dagli americani per noi. E quindi il 25 aprile non si può scendere in piazza contro chi ti ha aiutato a liberarti del nazifascismo”.

   

Da dove viene e su quali idee poggia questo atteggiamento? “Queste posizioni sono eredi di un’antica idea successiva alla Liberazione: una piccola parte di partecipanti alla Resistenza considerava sbagliato firmare l’amnistia, consegnare le armi, e criticava Palmiro Togliatti per questo, come se nella scelta della democrazia ci fossero anche i semi del tradimento della rivoluzione. E questo insistere sulla rivoluzione tradita a sinistra si è sempre tradotto in un riflesso anti Pci, fino alle estreme conseguenze del terrorismo”.

 

Ora però il Pd si trova a dover affrontare il problema nel bel mezzo di un’altra guerra, quella russo-ucraina: “Dobbiamo impegnarci soprattutto verso i giovani per far bene comprendere loro il rapporto tra Resistenza e Repubblica. E per far capire che lo Stato non è un nemico, e che le istituzioni democratiche sono la nostra vittoria. Certo, poi ci sono persone in malafede, anche se sono una minoranza, tra i nostri antichi avversari. Contestare Enrico Letta, per esempio, e in un momento in cui il paese si unisce in un’unica linea ferma di politica estera, è un atto antipatriottico e quindi estraneo alla cultura del 25 aprile. Si vede insomma nel Pd l’erede delle culture politiche che diedero vita al compromesso storico tra Pci e Dc; e si vede ancora l’immagine delle bandiere rosse e bianche che sventolano insieme il 16 marzo 1978, di fronte al rapimento di Aldo Moro”.

 

In questa ottica, dice Mancini, “la pur minoritaria, ripeto, parte di sinistra che considera oggi il Pd un nemico in quanto partito che ha abdicato in qualche modo alla propria essenza e purezza, si scaglia contro la posizione sull’Ucraina. E’ come se, con il sostegno all’Ucraina, fossero stati sollevati fantasmi dimenticati. Ma bisogna intervenire subito, innalzando un argine politico contro questa deriva. Ha detto bene Letta: il 25 aprile è la nostra casa. Dobbiamo dirlo chiaramente: quelli non sono compagni che sbagliano, ma avversari. Sono loro a porsi fuori dalla casa comune, non noi. Però sono ottimista sulle nuove generazioni: i ragazzi tra i 18 e i 24 anni sentono forte il richiamo del progressismo e della democrazia. Sta a noi fare sì che questi giovani non vengano trascinati su un terreno improprio”.

 

Poi c’è il problema del lessico: “Una cosa è il pacifismo, di cui bisogna avere grande rispetto”, dice Mancini, “una cosa il tifo per Vladimir Putin: non possiamo e non dobbiamo fare confusione. Sono orgoglioso di aver votato per la rielezione al Colle di Sergio Mattarella, un presidente che non ha esitato, il 25 aprile, a chiamare ‘Resistenza’ quella ucraina con quella frase. ‘Il giorno dell’invasione russa ho pensato a Bella Ciao’, ha detto il presidente della Repubblica, mettendo assieme la nostra storia e la realtà di oggi. E sono orgoglioso di quello che le nostre istituzioni stanno facendo per l’Ucraina”. 

  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.