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Il caso Le Pen, Conte e il Pd. Ragioni per separarsi dal M5s

Claudio Cerasa

Punto di riferimento, punto di smarrimento, punto di non ritorno. I populismi, quando c'è da difendere la democrazia liberale, non sanno mai presentare una posizione netta. L'alleanza della sinistra con il grillismo alla sbarra

Né né. Né con Macron né con Le Pen. Né con Biden contro Biden. Né con Draghi contro Draghi. Né con le armi contro le armi. Né con il gas russocontro il gas russo. Né con i termovalorizzatori né contro i termovalorizzatori. E poi molto altro. Nel giro di pochi mesi, il punto di riferimento fortissimo di tutte le forze progressiste, come fu definito Giuseppe Conte dall’ex segretario Nicola Zingaretti il 20 dicembre 2019 in una storica intervista al Corriere della Sera, è diventato, per le forze progressiste, il punto di smarrimento fortissimo, per tutti coloro che in passato avevano scommesso su un progetto politico che grazie al cielo oggi sta facendo i conti con la realtà.

 

L’idea, grosso modo, era questa: per poter sconfiggere le destre brutte, sporche e cattive, per la sinistra democratica non vi era alternativa se non quella di fare un passo indietro nella ricerca di una propria identità per permettere alle forze politiche di fare un passo in avanti nel rapporto specialissimo con il M5s. Dal punto di vista puramente tattico, il compromesso con il grillismo, da parte del Pd, ha avuto un suo senso nell’estate del 2019, quando le dirigenze del Pd e del M5s si ritrovarono a convergere in Parlamento per evitare che un anti europeista in braghettoni mettesse in mutande l’Italia offrendo pieni poteri alle dottrine nazionaliste (e vengono solo i brividi a pensare a quanti danni in più l’Italia avrebbe potuto avere durante la pandemia se al posto di un governo ispirato al modello europeista ce ne fosse stato uno ispirato al modello putiniano).

 

Tre anni dopo, però, la guerra in Ucraina, prima, e le elezioni francesi, poi, hanno contribuito a mettere in luce un elemento cruciale del rapporto tra il Pd e il M5s e quell’elemento è testimoniato in modo plastico dall’incapacità mostrata mercoledì sera da Giuseppe Conte di rispondere senza esitazioni a una domanda facile fattagli da Lilli Gruber a “Otto e mezzo”. Tema: chi scegliere tra Macron e Le Pen? Risposta: “Non partecipo alle elezioni francesi. Siamo distanti da Le Pen, ma i temi che pone vanno affrontati”. Il né né imbarazzato e imbarazzante messo in campo da Giuseppe Conte sul tema Le Pen non è solo la spia di un disagio da parte del presidente del M5s a scegliere senza ambiguità da che parte stare ma è la spia di un tema molto più importante che riguarda l’incapacità strutturale da parte dei partiti di matrice populista di scegliere da che parte stare quando in ballo c’è la difesa della democrazia liberale.

 

Non si può essere sinceri difensori della democrazia liberale se non si capisce cosa c’è in ballo oggi in Francia (né con Le Pen né con Macron uguale non contro Le Pen). Non si può essere sinceri difensori della democrazia liberale se non si capisce cosa c’è in ballo oggi in Ucraina (armare la resistenza degli ucraini significa fare tutto ciò che è necessario fare per combattere i regimi sanguinari). Non si può essere sinceri difensori della democrazia liberale senza capire che cosa c’è in ballo oggi quando si parla di riformare la giustizia (e quando si chiudono gli occhi di fronte a una magistratura che ha troppo potere, che non si sa autocontrollare e che vede qualsiasi valutazione esterna come lesa maestà). Il vecchio punto di riferimento fortissimo delle forze progressiste ha avuto certamente dei meriti ad allontanare il M5s dalla stagione della forca anti europeista.

 

Ma se di fronte alle scelte che contano una leadership non riesce a scegliere una linea diversa rispetto a quella del terzismo populista (cosa che invece è riuscito a fare bene Luigi Di Maio, che tutt’oggi dice che in Francia voterebbe Macron) il passaggio dal punto di smarrimento a quello del non ritorno è quasi naturale. E il leader del M5s, l’avvocato del né né, quella linea rossa l’ha superata. E la scelta del Pd di andare alle elezioni politiche separandosi dal M5s, con un magnifico proporzionale, potrebbe essere ora, caro Enrico Letta, il modo migliore per chiudere la parentesi della tattica e aprire finalmente quella della strategia.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.