La secessione contiana

Conte è per il governo "un ghiacciolo". Il problema "è che fare dello stecchetto"

Carmelo Caruso

Draghi non si fida delle giravolte del leader del M5s. Si mette in conto perfino una scissione dei grillini. Sul decreto Ucraina si va verso la questione di fiducia. Il presidente del Consiglio fa il suo tour per il "salva città"

In soli tre giorni ha abolito secoli di logica. Sabato ha lanciato la guerra lampo contro il governo di cui fa parte, domenica si è firmato da solo l’armistizio, mentre lunedì era per i negoziati con Mario Draghi. Con questa strategia, la strategia emicrania, Giuseppe Conte potrebbe sconfiggere perfino Putin. Quando si è rivolto a Palazzo Chigi per chiedere un incontro imminente con il premier (ci sarà oggi alle 17.30) qualcuno, e non era l’avvocato Lorenzo Borré, con garbo, gli ha fatto notare che prima della nuova votazione del M5s non era chiaro a che titolo lo chiedesse. Rifacendosi alle carte bollate, quelle che ora Conte disprezza, lo avrebbe chiesto in qualità di non leader, ma da avvocato semplice. In Italia sono 243 mila nella sua posizione.


Si è “s-tronato” con un video, si sta “rin-tronando” con un voto (senza sfidanti) in pratica si è dimesso e si è rimesso. Ha fatto tutto da solo. Al governo gli suggeriscono di fare un bel respiro e di bere un po’ d’acqua dopo le sue ultime performance. La sua possibile uscita (sul decreto Ucraina) è valutata come una possibilità, la secessione di un partito di hippie, l’isola delle Rose di Conte (chissà dove prenderanno il gas). Essendo originario della gloriosa Puglia, sarebbe giusto chiamarla l’isola del lambascione, il cipollotto con il fiocco.

 

E’ una piattaforma che il governo misura essere abitata da cinquanta slealisti. Tra di loro c’è un esperto di teatro. E’ Riccardo Ricciardi, altro contiano iper, definito dai parlamentari del M5s, gli unionisti, quelli che tifano Draghi, “il si crede Carmelo Bene”. E’ in ogni caso uno spettacolo. Quando Conte dice “chiederò alla mia delegazione di non votare”, i ministri degli altri partiti si interrogano: “E chi sarebbe la sua delegazione?”. Stefano Patuanelli, il ministro più vicino a Conte, sul suo profilo social parla ormai solo d’agricoltura e lo fa bene. Non è ironia.


C’è qualcosa di serissimo nella metafora che viene utilizzata, dalle parti del governo, per ragionare del dandy, di Conte. E’ paragonato a un “ghiacciolo sciolto. Si tratta solo di capire che fare dello stecchetto di legno”. Vorrebbe candidarsi infatti, come Matteo Salvini, a occupare il posto di paziente regolare presso l’ambulatorio Draghi. Ultimamente le sedute, come si sa, sono state sospese “causa guerra”.

 

Il caso Conte presenta tuttavia altre disfunzioni. Gli specialisti dicono trattasi di “leader immaginario”. Nel M5s raccontano invece che ci sono altri sintomi che destano preoccupazione: “Vuole diventare il prossimo presidente della Camera”. Si è costretti  ad aggiornare l’elenco dei soprannomi che Conte si sta guadagnando, e tutti sul campo. Oltre “il dandy”, “il Boris” si aggiunge “il sarà Casellati”. I soliti che cercano di spiegare il senso delle sue azioni si limitano a registrare che è in piena “transizione marxista. Crede di poter fare il Pietro Ingrao con la pochette e di prendere i voti di sinistra che a suo avviso perde Letta”. Ha senza dubbio talento.

 

E’ l’offensore ma fa l’offeso. Dopo aver tirato un pugno al governo ha detto che è il governo che non deve “forzare la mano sulle spese militari”. Ormai è una moda aggredire e urlare: “Ci aggrediscono loro”. Voi vi fidereste di un tipo così? Draghi non si fida. Ha chiesto al suo ministro Federico D’Inca di tenere il vertice di maggioranza ma è convinto che sul decreto Ucraina serva la questione di fiducia in ogni caso. E’ la tagliola d’aula che fa decadere ordini del giorno ed emendamenti quando c’è da fare presto, la fiducia come  l’aspirapolvere del decidere. Non c’è infatti nessun collegamento tra l’aumento delle spese militari e l’affamare le famiglie di cui parla Conte. Oggi a Napoli, la città dove il dandy si faceva fotografare da pizzaiolo, Draghi firma il patto per risanare il debito della città. Viene erogato più un miliardo fino al 2042. E’ un salva Napoli. Gli cade insomma un altro alibi. A quel punto bisognerà solo salvare Conte dal suo pericoloso riscaldamento climatico. Lo scioglimento del ghiacciolo.

 

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio