Carlo Fuortes, amministratore delegato Rai (Foto: Ansa/Angelo Carconi)

La Rai s'è desta

Fuortes litiga con il Pd e Meloni si allarga. Viale Mazzini anticipa la politica

Gianluca De Rosa

Molti giornalisti vicini al centrodestra, sponda Fratelli d'Italia, occuperanno ruoli di rilievo all'interno della Rai: preludio della politica che verrà?

Roma. Gli amanti dell’occulto fanno scrutare il loro destino sulle linee di una mano o sui riflessi di una sfera di cristallo. Per prevedere il destino degli equilibri politici però non ci sono medium. In compenso c’è un’impresa. La Rai. L’azienda della radiotelevisione italiana, tra le tante caratteristiche, ne ha una imbattibile: anticipa sempre i tempi della politica italiana. E’ la cartina di tornasole di ogni minimo sommovimento parlamentare, che spesso, molto spesso, anticipa. Dirigenti, manager e giornalisti Rai sono dotati di uno specialissimo olfatto. Sono cani da tartufo del sentiment elettorale e parlamentare. Capaci di sentire con tempismo come cambia l’odore della politica.

E oggi, a viale Mazzini come a Saxa Rubra, c’è forte profumo di centrodestra. Fragranza Giorgia Meloni. La leader di Fratelli d’Italia rimasta scottata mesi fa dall’accordo tra Pd e Lega che ha tenuto il suo partito fuori dal Cda è però tornata prepotentemente nei pensieri dei manager dell’azienda. Ancora prima che si manifestasse il tramestio parlamentare che mercoledì ha portato il governo ad andare sotto sul milleproroghe, ancora prima dell’arrabbiatura di Draghi giovedì, ecco, ancora prima di tutto questo, alla Rai hanno iniziato a riposizionarsi.

L’ad Carlo Fuortes negli ultimi tempi ha con il Pd un rapporto complicato. A farlo infuriare a metà gennaio fu il voto contrario al bilancio previsionale 2022 della consigliera in quota dem Francesca Bria. E intanto la Rai si fa sempre di più, di nuovo, sovranista. Non del tutto, non ancora ovviamente. Ma l’azienda è un aruspice che sa vedere anche nelle viscere di un comunicato stampa i moti minimi e adattarsi di conseguenza. Quindi, nella paura di tutti di perdere appoggi e potere, ecco che si scatenano i riposizionamenti.

Pochi giorni fa sono stata approvate le nuove direzioni di genere che sostituiranno da inizio giugno le attuali direzioni di rete. Alla direzione daytime, quella che conterrà tutti i popolari programmi della fascia mattina-pomeriggio. Sotto il direttore Antonio Di Bella, in quota istituzionale (dicono abbia rapporti cordiali con il presidente Mattarella) è una valanga di nomi in quota centrodestra: Angelo Mellone, Federico Zurzolo, Silvia Vergato. Fa eccezione Adriano De Maio che, somiglianze onomastiche, è riconducibile al M5s. 

La cosa si fa ancora più evidente nei tg. Il Tg2 è rimasto a destra sin dai tempi del governo gialloverde, mentre al Tg1 recentemente Monica Maggioni ha nominato nuovi vicedirettori. Ci sono Nicola Rao (autore del libro “Il sangue e la celtica), Francesco Giorgino e Grazia Graziadei, tutti di preferenze destrorse. Un’aggiustatina forse non casuale. Anche se la svolta più evidente è arrivata a Rainews. Da novembre il direttore è Paolo Petrecca, considerato molto vicino a Fratelli d’Italia. Due settimane dopo la sua nomina, presentava a Civitavecchia il libro di Giorgia Meloni. Anche alla Tgr a tenere il timone è un giornalista in quota sovranista, Lega per la precisione, Alessandro Casarin. Anche il “condirettore” Roberto Pacchetti è sostenuto dal Carroccio. Qualche mese fa Fuortes ne aveva chiesto la testa, ma, saranno i tempi che cambiano, Pacchetti è ancora lì. Un altro indizio arriva sempre dalla rivoluzione che avverrà da giugno con le direzioni di genere.

Senza direttori di rete un ruolo chiave potrebbe svolgerlo il direttore della distribuzione e dei palinsesti Marcello Ciannamea. Sei mesi fa, Matteo Salvini tifava il suo nome per guidare viale Mazzini. “Il suo – si mormora nei corridoi di Saxa Rubra – sarà un potere incredibile: coordinando i palinsesti è come se diventasse il direttore di tutte e tre le reti insieme”.
Intanto, questa estate, a prendere il posto di Serena Bortonone (che ha fatto record di ascolti sfondndo quota 18 per cento) ci sarà un altro giornalista vicino a Giorgia Meloni, Pierluigi Diaco (che in onda in realtà non ha mai fatto grandi ascolti). Dettaglio di colore: si racconta che, quando ospitò Edoardo Vianello per una lunga intervista, prima che il cantante si apprestasse a intonare i Watussi lo spronasse a non farsi intimidire dal politicamente corretto: “Lo canti bene, senza paura: gli altissimiii negriiii”. Ma poi c’è il potere vero, quello dei manager e dei funzionari. Non si vedono, ma sono quelli più veloci e pronti. In quota centrodestra è arrivato da pochissimo Pierluigi Lux, ex capo dell’ufficio legale di RaiWay, andrà alla potente direzione acquisti.

Urge una nota. Queste classificazioni politiche di manager e giornalisti Rai lasciano il tempo che trovano. Dentro all’azienda d’altronde, nessuno parteggia davvero. Semplicemente ci si riposiziona, s’indossa una casacca cercando d’intuire come andranno a finire le cose. E spesso ci si azzecca. Altre si sbaglia, e ci si gioca qualche anno di carriera.

 

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