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Da Sanremo al Csm fino al Parlamento: il proporzionale è la cura nazionale

Carmelo Caruso

È il migliore sistema elettorale e può essere la soluzione anche per la riforma Cartabia, salda sud e nord e favorisce la complicità fra piccoli. Ha salvato anche il Festival della canzone italiana 

Il “tanticchia”, l’olio nell’insalata, il cacio sulla pasta, il giusto nel tanto: è proporzionale l’algebra della nazione. In parlamento è il “migliore sistema elettorale” (per non fare vincere Giorgia Meloni) ma anche per la ministra Marta Cartabia, proporzionale, è la buona soluzione, la via media, l’accontentiamo i magistrati che si oppongono alla riforma del Csm perché, con un “sistema maggioritario”, dicono le correnti, “si rischia di estromettere le minoranze”. E allora, non c’è alcun dubbio, che anche per riformare questo Csm (spartito per cordate, in proporzione) serva “un po’ di proporzionale” e che se la ministra scenderà a compromessi, il governo può farcela salvo che le forze parlamentari siano disposte, “in proporzione, a cedere qualcosa”. E’ dunque vero che nessun sistema si adatta meglio all’Italia, che ha, in proporzione, un po’ di mare, di montagna, di collina, di pianura, e in proporzione la felicità, il cielo nella stanza.

 

Pure a Sanremo, dove valletti, comici, cantanti sono distribuiti per accontentare, in proporzione, tutti gli italiani, hanno vinto (sempre in proporzione) la quota giovani (Mahmood e Blanco) la quota vecchie glorie (Gianni Morandi, la notte delle cover) e Drusilla Foer, la quota novità, il genere fluido (eh no, unicità) che è sempre un po’ e un po’: proporzionale. Non è una parola. Proporzionale è il destino di una comunità, il libretto postale che salda il nostro debito nei confronti della complessità. Non è un caso che, per mettere insieme tutte le anime del M5s, Conte abbia pensato di aumentare le cariche (il Foglio ne ha contate oltre 90). Era convinto che, con la proporzione, fosse possibile accontentare anche Luigi Di Maio.

 

Peccato, si era dimenticato dei giudici. E però, anche nella giustizia, c’è pur sempre proporzione: si chiama ricorso. I suoi avvocati ne promettono infatti in tutta Italia, sempre con proporzione. Giovanni Sartori, che è stato la politologia, anni fa, nel rispondere ad Augusto Barbera, che è ancora la giurisprudenza, scriveva che per garantire la governabilità servisse un premio di maggioranza con apparentamento perché il premio si “poteva così distribuire, sia chiaro, in proporzione, a tutta la cordata”. Non è mai stata vinta la battaglia (povero Mario Segni) per abbattere il proporzionale, e mai lo sarà, perché il comunismo, a Berlino, aveva il muro che divideva, mentre nel nostro caso, il proporzionale, salda sud e nord, favorisce la complicità fra piccoli (vediamo se Toti, Brugnaro, Renzi riusciranno a fare una “cosa” che superi lo sbarramento proporzionale). Salvini, ad esempio, nella difficoltà, ha proposto la federazione che è il rovescio del proporzionale: comandiamo insieme, ma io un po’ più di te; a secondo della proporzione. Prima di Draghi che è ritenuto, dai mercati, l’uomo stabilità, l’Italia si è in verità sorretta sull’equazione spartitoria uno a te, uno a me, e poi uno bravo. Era la giusta proporzione che la politica pagava alla competenza. Come in matematica, il proporzionale è la x, l’incognita, che Richard Hieck, nel racconto di Hermann Broch, (Carbonio editore) scopre essere la chiave. Si era innamorato, ma senza proporzione.

 

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio