Consultazioni d'inverno

Draghi convoca i partiti sulla manovra. Vuole capire se lo vogliono davvero premier fino al 2023

Il premier ascolta i capigruppo sulla legge di Bilancio.

Carmelo Caruso

Tornano le consultazioni il premier e le forze politiche. L'obiettivo dichiarato è blindare la legge di Bilancio. Per il premier però è l'occasione per capire se la richiesta di chi lo vuole ancora a Chigi è davvero autentica

Si stanno agitando per farlo restare. Non può restare se i partiti si agiteranno. Ci sono condizioni imprescindibili per far sì che Mario Draghi rimanga a Palazzo Chigi. Il governo “non deve perdere la sua spinta”, “i partiti devono dimostrare la loro lealtà”, l’approvazione della manovra finanziaria “misurerà le reali intenzioni dei partiti”. Quando ieri pomeriggio il premier ha ricevuto la delegazione del M5s, la prima delle forze convocate, si è subito compreso che questi incontri, organizzati per mettere in sicurezza la legge di Bilancio, non riguardano solo la manovra che dovrà approvare il Parlamento. E’ un modo per proseguire  ricominciando dal metodo dell’origine.  Dureranno tre giorni, coinvolgono tutte le forze della maggioranza. Sono le “consultazioni d’inverno”, strumenti di navigazione: la mappa dell’uomo che pensa. E infatti, il premier,  vicino ai ministri D’Inca e Franco, non parlava, ma taceva. Rifletteva.


Confermano dunque, e lo conferma chi partecipava, che  la formula somigliasse a quella del febbraio 2021, quella che ha preceduto la nascita dell’esecutivo, ma che questa, a differenza di allora, fosse ancora più carica di pensieri trattenuti, per il premier che, come ha rivelato al Punto luce di Save the Children, “cerca la sua strada” provando a “fare bene quello che sta facendo ora”. Non è qualcosa che Draghi ha inseguito, non è una convocazione da sovrano. E’ qualcosa che i partiti non sono riusciti a organizzare senza di lui ma che Draghi avrebbe, c’è da scommettere, salutato sorridendo, da sgravato. La verità è che sono consultazioni che si sarebbero dovute tenere al di fuori di Palazzo Chigi. Le “consultazioni d’inverno” ricalcano nello spirito quel “tavolo” che per primo aveva proposto il segretario del Pd, Enrico Letta. Il pensiero di Letta era: “Presentiamoci di fronte a Draghi con una soluzione. Dimostriamo che la sua maggioranza non si divide. Alleggeriamolo”. Non solo.

 

Sarebbe servito ai partiti per guardarsi negli occhi, per parlare di Quirinale senza parlarne. Era una buona idea e non è vero, come qualcuno ha erroneamente immaginato, che Palazzo Chigi non apprezzasse. Al contrario. Si confidava che i partiti non avessero bisogno, almeno in questa circostanza, del tutoraggio del premier. E invece, e lo spiegava ieri chi quell’idea l’ha accarezzata “anziché portare a Draghi soluzioni ci presentiamo a Draghi con i nostri problemi. Non è così che si aiuta”. Li compatta insomma ancora lui. Ma lui si può davvero fidare di loro? E’ una domanda che ci accompagnerà da ora in avanti. Sta infatti avvenendo qualcosa che ha come protagonista il premier ma è qualcosa che solo Draghi può verificare. E lo vuole.

 

I leader stanno emettendo “vocalizzi”. Cantano che deve restare fino al 2023. E’ una polifonia che si è registrata a Firenze, durante la festa del Foglio. Sono suoni sinceri? Con una forza inedita, il ministro Luigi Di Maio, ha dichiarato che “non possiamo andare a votare” e che un uomo come Draghi “non si può perdere”. E’ il vero leader di quel Movimento, e non va mai dimenticato, che ha un numero imponente, e decisivo, di parlamentari. Peserà al momento dell’elezione del capo dello stato. L’altra frase, pronunciata subito dopo, e sempre nella stessa occasione, è di Letta. E’ importantissima perché è condivisa da chi si preoccupa del futuro di Draghi. E’ questa: “Siamo dentro una maggioranza eccezionale, sarebbe incredibilmente contraddittorio se la maggioranza che elegge il presidente della Repubblica fosse più piccola di quella che sostiene il governo Draghi”. Ha due significati. Il primo: se si vuole salvaguardare Draghi eleggendolo al Colle, lo deve eleggere il suo governo con un patto fortissimo.

 

Non va escluso nulla, neppure questa possibilità che sembra si allontani. Il secondo: se si vuole ancora (e sembra che si voglia) avere Draghi come premier, il futuro presidente della Repubblica (se non Draghi) non deve dividere la maggioranza che sostiene l’attuale governo. Ieri, anche Matteo Salvini, che è il “sorvegliato speciale”, il leader da cui si teme la futura defezione, garantiva: “Draghi sta lavorando bene, mi auguro che possa continuare a lungo da presidente del Consiglio”. A conclusione della prima giornata, a Palazzo Chigi, si spiegava che alla fine “si tirerà la linea”. Ed equivale a dire che Draghi tirerà la sua. Vuole capire da loro, il futuro che preparano per lui.

 

 

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio