Matteo Renzi (LaPresse)

i professionisti della melma

Il caso Open, Renzi e lo spassoso galateo sul letame

Claudio Cerasa

Le derive del circo mediatico-giudiziario: le lezioni di morale contro il “metodo Bestia” vengono offerte oggi da chi la Bestia l’ha creata, dando il proprio contributo alla distruzione delle vite degli altri. Dai cronisti ai politici. Un decalogo

Ci vuole davvero una faccia come il culto, e inseriamo qui una “t” per essere eleganti, per potersi presentare oggi di fronte ai propri lettori e ai propri telespettatori con lo sguardo feroce e inflessibile di chi si sente perfettamente legittimato, con il pedigree che si ritrova, a ergersi a grande censore delle character assassination dopo aver dato a vario titolo il proprio contributo alla distruzione delle vite degli altri. Ci vuole davvero una faccia come il culto per poter trasformare i pettegolezzi penalmente irrilevanti del caso Open nel simbolo evidente di una nuova bestia, nell’epifenomeno unico di una prassi purtroppo molto diffusa nel nostro paese: provare a trasformare i mezzi di informazione nella buca delle lettere dei professionisti del letame. Sarebbe bello e persino rassicurante poter dire che una volta passato l’asfalto incandescente sopra la vita spregiudicata di Matteo Renzi e sopra le email disgraziate di Fabrizio Rondolino sarà possibile debellare il principale cluster italiano della macchina del fango.

  

   

Sarebbe molto bello e persino rassicurante, ma purtroppo non è così e in verità suscita un sentimento misto alla tenerezza e all’indignazione l’immagine di alcuni professionisti del letame che oggi tentano di dare una spolveratina al proprio ventilatore di melma trasformando qualcun altro nel parafulmine di un vizio italiano: la distruzione della reputazione di un personaggio pubblico sulla base di un meccanismo di delegittimazione fatto di illazioni, allusioni, supposizioni, congetture e accuse non provate. E così, spettacolo nello spettacolo, in questi giorni succede di ritrovarsi davanti a scene come queste. Scene come quelle portate in prima serata da alcuni giornalisti che, dopo aver costruito una discreta fortuna editoriale trasformando ogni accusa in una condanna, ogni illazione in una sentenza, ogni velina di un magistrato in una verità assoluta sufficiente a distruggere la vita di un avversario politico, oggi si comportano da verginelle indignandosi con tutto il cuore contro qualsiasi tentativo di voler costruire dossier contro gli avversari. Scene come quelle portate nel palinsesto televisivo da alcuni politici che, dopo aver costruito una discreta fortuna elettorale puntando sulla sofisticata deontologia del vaffanculo, trasformando i giornalisti in obiettivi da colpire, oggi si comportano da pecorelle smarrite denunciando l’assenza di deontologia politica da parte dei propri avversari.

 

Scene come quelle messe in campo da alcuni giornalisti che, dopo aver passato buona parte della propria vita a  recitare il sofisticatissimo ruolo dei pappagalli delle procure, trasformando in oro colato ogni dettaglio penalmente irrilevante offerto dal magistrato di turno, oggi denunciano il populismo della Rondolino e Renzi Associati. Scene come quelle messe in campo da alcune trasmissioni che, dopo aver trasformato per molto tempo i propri studi televisivi nelle casse di risonanza dei peggiori propalatori di verità alternative mettendo in mostra ripetutamente un modello di informazione costruito per essere niente più che un megafono delle procure, oggi sono lì in prima fila a dare grandi lezioni su quali siano i limiti deontologici che un giornalista non deve superare.

 

Sarebbe bello e persino molto rassicurante poter dire che l’assedio contro Renzi è frutto di una improvvisa immersione della classe dirigente italiana in una nuova stagione caratterizzata da una volontà sincera di non trasformare ogni illazione in una condanna, ogni accusa in una sentenza, ogni allusione in una verità. Ma la verità sconsolante è che i dettagli del caso Open utilizzati dai professionisti della melma per poter prendere uno altro pezzo di scalpo dalla testa di Renzi non sono la spia di una nuova stagione dell’informazione italiana. Sono la spia di qualcosa di più inquietante. Sono la semplice conferma che per asfaltare i propri avversari politici è legittimo usare ogni mezzo possibile per dare un proprio contribuito alla distruzione delle vite degli altri. E ci vuole davvero una faccia come il culto per poter dare lezioni di galateo contro le Bestie, dopo aver passato una vita, insieme con gli amici magistrati, a dare da mangiare alla propria Bestia. O meglio. Le lezioni si potrebbero anche dare, ma non prima di aver fatto quello che nessun giornalista, nessun conduttore e nessun politico che ha alimentato per anni la Bestia del circo mediatico-giudiziario sembra essere particolarmente intenzionato a fare: chiedere scusa per le bestie create, prima di denunciare le bestioline degli altri.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.