L'appuntamento

Draghi contro il lamento da Pnrr: "Non drammatizziamo. Ricordiamoci a cosa serve"

Il premier atteso giovedì a Parma per l'assemblea dell'Anci

Carmelo Caruso

Il premier prepara l'intervento di giovedì quando si rivolgerà ai sindaci: "Il Pnrr non può essere un assumificio". Ma per i comuni minori arrivano i rinforzi 

È denaro che serve a entrare nella modernità ma non può essere la scorciatoia per imbucarsi nei comuni. È previsto per giovedì, a Parma, all’assemblea dell’Anci, un intervento di Mario Draghi che si candida a essere un intervento di verità. Si ragionerà di Pnrr, città, dei ritardi veri e di quelli percepiti, della burocrazia che deve correre e della burocrazia come grande pretesto.

 

Si stanno infatti costituendo due partiti di amministratori locali preoccupati di non riuscire ad accedere ai fondi del Recovery ma per ragioni diverse. Sono avanguardie, spie di un malessere che è tutto italiano e dunque doppio come la nostra geografia.

 

Ci sono sindaci, al nord, preoccupati per eccesso di efficienza (un esempio è Beppe Sala a Milano) e sindaci, al sud, spaventati, per la deficienza di competenze che registrano nei loro uffici. Li guida il timido, e bravissimo, Gaetano Manfredi, neo eletto a Napoli, ex ministro, che ha parlato di sue possibili dimissioni. Non è un populista. Si è solo accorto che ci sono ritardi che la storia ha ormai definito ma che non possono essere (e lo pensa il governo) risolte con la frase “altrimenti me ne vado”. Ebbene, il Pnrr, sarebbe un enorme fallimento culturale, prima che economico, se si traduce “nella minaccia”, se lo si interpreta come la calce che serve ad affrescare tutte le catastrofi di bilancio. Il Pnrr non è socialismo reale.


Nell’assemblea dell’Anci si attende quindi che Draghi risponda (e lo farà) a questo dibattito che si sta facendo sempre più importante ma che non può trasformarsi nell’alibi italiano. Si crede infatti che ci sia una parte “di emozioni” da governare da parte dei comuni, l’idea di non riuscire ad accedere ai fondi del Pnrr, un’idea che si accompagna all’altra: credere che il Pnrr, si veda il caso Napoli, ma non solo, si risolva in una sagra di “chiamate”. Il Pnrr non è un assumificio.

 

Ieri, è stato il ministro per gli Affari regionali, Mariastella Gelmini, a spiegare, e bene, che le amministrazioni locali non sono mai state abbandonate e che presto, nel prossimo decreto sul Pnrr, verrà inserita una norma che ne recepisce i timori. E’ un provvedimento rivolto ai comuni minori, quelle amministrazioni che non dispongono di personale qualificato per istruire pratiche complesse. In loro aiuto arrivano degli “avengers dei bandi”, dei “dottori” del piano, insomma un “nucleo Pnrr stato-regioni”.

 

Non è altro che un prolungamento, un dipartimento chiamato a curare i tavoli tecnici fra centro e periferia. Entra poi a regime l’altro tavolo permanente per il partenariato economico, sociale e territoriale, presieduto da Tiziano Treu, una struttura che dovrebbe, ancora, individuare, e suggerire, tutto ciò che accelera l’attuazione del Recovery. Al momento non sono previste cabine di regia (il 12 novembre, il premier dovrebbe partecipare alla Conferenza internazionale sulla Libia che si terrà a Parigi) ma si sa che presto andranno convocate per trasformare le numerose che si sono svolte, e di natura tecnica, in cabine di regia politiche.

 

Riguardano temi come infrastrutture, coesione sociale, sud, tutti target da raggiungere, C’è un racconto, e il governo se ne è accorto, che ruota intorno alla parola “incompiute”. Un racconto che si rifiuta. La sensazione, nelle stanze di Palazzo Chigi, è che dietro a questa parola si nascondano altre partite. Si parla di “drammatizzazione” in vista della partita del Quirinale. E’ quanto sta accadendo sullo stato d’emergenza che non è vero si voglia “certamente prorogare”. Una valutazione verrà fatta ma a ridosso. E si “drammatizza” su Recovery e pandemia… E’ sicuramente una fase nuova. Ma si vuole fare qualcosa di peggio. Farne una fase confusa.
 

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  • Carmelo Caruso
  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio