Mario Draghi (foto LaPresse)

A Palazzo Chigi c'è un troll che ha fatto impazzire i populisti

Claudio Cerasa

Ha mostrato  a tutti i partiti della maggioranza, soprattutto a Lega e M5s, gli errori commessi nel recente passato e li ha costretti a molte retromarce. La rivoluzione di Draghi per avere un paese normale

Nel linguaggio della rete, e non solo in quello, il troll è un soggetto particolare, fastidioso, che tende a interagire con gli altri utenti attraverso l’utilizzo di messaggi indisponenti, insopportabili, irritanti, spesso privi di senso, e il cui fine ultimo è quello di provocare fino all’impazzimento il proprio interlocutore di turno. Per molte ragioni, si può dire oggi che la figura del troll è quella giusta per provare a mettere a fuoco la traiettoria imboccata in questi primi otto mesi di governo dal presidente del Consiglio, Mario Draghi, ed è difficile non trovarsi d’accordo con quanto scritto la settimana scorsa da Les Echos in uno speciale dedicato proprio al capo dell’esecutivo italiano: Mario Draghi, l’homme qui a dompté les populistes. Mario Draghi, l’uomo che ha domato i populisti. Da otto mesi a questa parte, Mario Draghi in fondo ha fatto questo, lo ha fatto in modo sistematico, e ha costruito buona parte del suo consenso non cercando di accontentare a colpi di marchette e di contentini tutti i partiti che si trovano all’interno della maggioranza ma mostrando a tutti i partiti con incredibile spietatezza i molti errori commessi nel recente passato.

  

Fino ad arrivare al punto, quasi diabolico, di costringere i populisti del passato a votare con allegria norme, riforme, provvedimenti e decreti costruiti quasi esclusivamente per cancellare i danni generati dalle forze antisistema. Succede così, delizia assoluta, che il M5s e la Lega siano costretti a votare sì per abrogare una legge importante voluta dal loro governo, la legge Bonafede, e succede così, altra delizia assoluta, che il M5s e la Lega siano costretti a votare sì per abrogare un’altra legge importante voluta dal loro governo, ovvero Quota 100 (in pratica, la Lega ha accettato il ritorno graduale da Quota 100 a quota Fornero: spettacolo).

 

E succede così, altra meraviglia, che la Lega sia costretta a votare la fiducia alle relazioni programmatiche di un premier deciso a rappresentare l’Italia, nei consessi europei, sulla base di una piattaforma europeista, antisovranista, antinazionalista, che si trova agli antipodi rispetto a quello che è il pensiero salviniano. E succede così, altra meraviglia, che il M5s sia costretto a votare a favore di riforme finalizzate a correggere altri disastri costruiti nel tempo, come è stato la scorsa settimana per il Reddito di cittadinanza. Il trollaggio di Draghi nei confronti dei partiti, specie quelli populisti, non si limita ad avere come obiettivo solo le forze antisistema, ma tende a estendersi a macchia di leopardo all’interno di tutta la maggioranza.

 

E qualcuno, altro piccolo dettaglio, si sarà accorto che anche le roboanti promesse messe in fila dal Pd sul tema delle tasse, a partire dall’incremento della tassa di successione, sono state mirabilmente cestinate dal Pd, per la gioia degli avversari del Pd. Il risultato insieme politico e culturale generato dallo schiacciasassi di governo non è  solo quello di aver cancellato giorno dopo giorno il 4 marzo del 2018, con la complicità delle stesse forze parlamentari che nel 2018 cercarono di trasformare l’Italia nella barzelletta d’Europa, ma è anche quello di aver fatto accettare ai piccoli e grandi populismi politici alcune scelte persino provocatorie come quelle contenute nella legge di Bilancio approvata giovedì scorso dal Cdm: alzare in modo considerevole gli stipendi ai sindaci, e di conseguenza anche agli assessori le cui retribuzioni aumentano all’aumentare di quelle dei primi cittadini, chiudendo in modo simbolico una lunga serie di vergognose campagne politiche, nonché di stampa, finalizzate a mettere al centro del dibattito pubblico il tema dei gravissimi e insopportabili costi della politica. O se volete, come un tempo avrebbe detto qualcuno, i costi della casta.

 

La rivoluzione di Draghi, rivoluzione che in buona parte consiste nell’aver messo l’Italia sui binari della normalità e rivoluzione che all’interno della manovra è rinviata al futuro, perché il presidente del Consiglio ha di fatto rinviato al prossimo Parlamento le decisioni importanti su pensioni, fisco e reddito di cittadinanza, è difficile dire quanto durerà. Più facile dire che risultato abbia prodotto: aver reso evidente che in politica il vero costo insopportabile per il paese non è il costo che ogni cittadino paga per il lavoro dei politici, ma è il costo che ogni cittadino paga per avere politici irresponsabili. E vedere oggi i vecchi partiti populisti costretti a votare in Consiglio dei ministri e in Parlamento riforme, provvedimenti, leggi e decreti il cui fine ultimo è quello di mettere una pezza ai danni creati dai populisti è uno spettacolo incredibile, quasi pornografico, che giorno dopo giorno offre al paese una ragione in più per capire qual è il vero costo che un paese non può sopportare: affidare la sua guida ai professionisti del cialtronismo. Evviva i troll!

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.