Cecilia Fabiano/ LaPresse 

La fine dell'egemonia populista su sicurezza e libertà spiega la crisi di Salvini e Meloni

Abili a cavalcare i problemi, incapaci a risolverli

Claudio Cerasa

I problemi del centrodestra non sono legati a una contingenza, ma a un contesto in cui l'area sovranista ha perso la sua supremazia su due temi chiave. Il punto non è la tattica, è la visione

Il problema non è la tattica, ma è la visione. Il problema non è un nome, ma è la struttura. Il problema non è il contenitore, ma è il contenuto. Il problema non è la formula, ma è il senso di un intero progetto politico. Ieri pomeriggio, i tre leader del centrodestra, Matteo Salvini, Giorgia Meloni e Silvio Berlusconi, si sono incontrati a Roma e hanno cercato senza successo di trovare risposte non scontate a domande importanti come quelle emerse all’indomani dei disastrosi ballottaggi: dove abbiamo sbagliato, dove stiamo toppando e dove possiamo trovare un nuovo terreno comune e fertile su cui costruire una riscossa futura?

  

Per rispondere a questa domanda le strade possibili sono due. La prima strada è quella che porta a considerare il risultato delle amministrative come un piccolo e semplice campanello d’allarme utile a segnalare al massimo una difficoltà tutto sommato risolvibile relativa al cattivo coordinamento tra i partiti in campo. Il problema, visto con questa lente di ingrandimento, riguarda le scelte sbagliate nelle città, riguarda la competizione eccessiva tra i partiti, riguarda il narcisismo delle leadership e riguarda tutto sommato problemi di carattere superficiale, tamponabili con qualche prova di forza unitaria come potrebbe essere l’elezione del prossimo presidente della Repubblica. La seconda strada, più difficile da ammettere ma più urgente da riconoscere, è invece una strada che porta a considerare i problemi del centrodestra non legati a una contingenza, a un momento, ma legati a un contesto, a una fase storica speciale all’interno della quale il centrodestra populista a trazione sovranista ha perso la sua supremazia su due parole chiave: libertà e sicurezza. C’è stata una stagione, elettoralmente feconda, durante la quale Salvini e Meloni, intercettando meglio di chiunque altro le paure degli italiani, non hanno avuto una grande difficoltà nel dettare l’agenda su questi temi, riuscendo in modo tanto efficace quanto spregiudicato (e con il contributo determinante dei media) a subordinare la difesa della propria libertà al tema della sicurezza.

  

Si è liberi se si è sicuri, si è sicuri se si è protetti e si è protetti solo se si combatte l'immigrazione con tutte le armi a nostra disposizione. Per una lunga fase della storia recente del nostro paese, il populismo sovranista è riuscito in modo abile a mettere in mostra la propria capacità di porsi domande giuste (come si governa l’immigrazione?) nascondendo la propria predisposizione naturale a offrire risposte sbagliate. La pandemia ha contribuito a far cambiare le priorità e le preoccupazioni dei cittadini e i sovranisti si sono ritrovati a essere per molto tempo non più dei garanti della libertà e della sicurezza ma dei nemici di esse. Attraverso un’operazione politicamente suicida finalizzata a trasformare periodicamente le regole necessarie a combattere il virus (no a tutte queste mascherine, no a tutte queste chiusure, no ai vaccini per tutti, no al green pass per tutto) in un virus persino più pericoloso del virus stesso. Il risultato è quello che vediamo oggi ed è un centrodestra che non ha solo un problema a trovare i nomi giusti per vincere nelle città ma che ha anche un problema enorme a trovare il modo giusto per dirsi la verità.

   

E la verità emersa durante i mesi della pandemia è questa. I populisti non hanno capito che i loro stessi elettori considerano le regole per combattere il virus un viatico per tornare a essere liberi e non un limite alla propria libertà e nel fare questo hanno dimostrato di essere tanto fenomenali a cavalcare i problemi quanto incapaci nel risolverli. E fino a che Salvini e Meloni non troveranno un modo per tornare a dettare l'agenda su temi cruciali come libertà e sicurezza il loro destino sarà quello di vivere nel paradosso dei populisti nemici del popolo. Il problema non è la tattica, ma è la visione. E la notizia sconsolante per il centrodestra, al momento, è che il piano B semplicemente non c’è.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.