Flessibilità, creatività, pacificazione

Come imprese e governo possono evitare di trasformare il green pass in una puntata di Squid game

Claudio Cerasa

Il virus si combatte con il vaccino, il green pass aiuta ad avere più vaccinati, avere più vaccinati aiuta a tornare alla normalità ma senza una flessibilità creativa da parte delle imprese l’azzardo di Draghi non è detto che vada a buon fine. Vigilare

Green pass o “Squid game”? Le notizie raccolte nella giornata di ieri ci confermano che ci sono buone ragioni per essere preoccupati rispetto alla trasformazione del green pass in uno strumento indispensabile per andare al lavoro e dunque ricevere un salario. Le notizie non confortanti sono quelle che arrivano dal porto di Genova (sciopero in corso), sono quelle che arrivano dal porto di Gioia Tauro (sciopero annunciato), sono quelle che arrivano dagli autotrasportatori (sciopero annunciato) e sono quelle che infine arrivano dal mondo della scuola, dove alcuni sindacati hanno annunciato uno sciopero generale tra il 15 e il 20 ottobre.

E’ possibile, come ha auspicato ieri il Foglio, che il governo affronti i prossimi giorni con un approccio flessibile, cercando cioè di non trasformare la stagione del green pass nei luoghi di lavoro in un’occasione di scontro di civiltà e tentando in tutti i modi di trovare una via creativa non solo alla vaccinazione ma anche alla pacificazione nazionale. Ma è anche possibile che l’azzardo compiuto da Mario Draghi, che ha scelto di fare quello che nessun altro paese del mondo ha avuto il coraggio di fare, possa far leva su un tessuto produttivo e sociale meno ostile rispetto a quello rappresentato mediaticamente dai portuali e dagli autotrasportatori. Ed è anche possibile dunque che abbia ragione l’assessore alla Salute della regione Lazio, Alessio D’Amato, quando al telefono con un sorriso ci dice che alla fine “anche i No vax ringrazieranno chi ha lottato per estendere il green pass”.

Il ragionamento di D’Amato parte da una consapevolezza che ha almeno tre facce diverse. La prima faccia riguarda l’obiettivo vero del green pass. La seconda faccia riguarda il futuro della pandemia. La terza faccia riguarda la flessibilità delle imprese.

Il primo punto è evidente: se l’obiettivo del green pass è quello di far fare ai vaccini un salto di qualità si può dire che lo strumento “green pass” ha prodotto già alcuni frutti se è vero, come dicono i dati del ministero della Salute, che da quando l’Italia ha annunciato le sue norme sul green pass il numero di prime dosi nel nostro paese ha iniziato a crescere di un sette per cento al giorno in più rispetto alla Germania.

Il secondo punto è altrettanto evidente: se l’obiettivo del governo è combattere la pandemia con i vaccini è chiaro che più ci si vaccinerà e più sarà facile liberarsi delle restrizioni. Un anno fa, è il ragionamento, avevamo il lockdown, oggi abbiamo il green pass e una volta che le vaccinazioni arriveranno a toccare il 90 per cento degli italiani vaccinabili sarà possibile, dice D’Amato, fare come in Portogallo, “e togliere tutte le restrizioni, compreso il green pass”.

Il terzo punto riguarda le imprese. E per quanto i dati dicano che la platea dei lavoratori senza vaccino oggi sia intorno ai 2,5 milioni di persone, i numeri riservati di Confindustria sono lì che suggeriscono una realtà differente, con una percentuale di lavoratori senza vaccino “pari al 3 per cento del totale, circa 700 mila persone”. Numeri diversi, anche se sempre alti, che in un modo o in un altro costringeranno comunque gli imprenditori, i lavoratori, i sindacati e il governo a fare uno sforzo (tamponi super calmierati e praticamente gratuiti?) per evitare che la stagione della grande protezione che potrebbe maturare a colpi di green pass si trasformi in un’occasione per creare saldature pericolose tra lavoratori e movimenti eversivi.

Il virus si combatte con il vaccino, il green pass aiuta ad avere più vaccinati, avere più vaccinati aiuta a tornare alla normalità ma senza una flessibilità creativa da parte delle imprese l’azzardo di Draghi non è detto che vada a buon fine. Vigilare. Con ottimismo, ma senza dogmi, evitando di trasformare uno strumento formidabile come il green pass in una pericolosa puntata di “Squid Game” (e se non sapete cos’è “Squid Game” leggetevi subito, qui sotto, Mariarosa Mancuso e Stefano Pistolini).

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.