Editoriali

I populismi senza popolo

Redazione

L’astensionismo cresce a causa della demagogia, cari Salvini e Meloni

La riduzione della partecipazione al voto nelle elezioni comunali ha suscitato commenti talora esasperati. Si è parlato di sfiducia nella democrazia, di crisi del consenso e così via, ma in realtà si tratta di una tendenza generale che si è espressa in tutta Europa anche nelle più recenti tornate elettorali locali. Si vota per scegliere amministrazioni comunali, i cui compiti sono abbastanza limitati: qualcuno preferisce più piste ciclabili, altri meno, qualcuno ha più a cuore i temi ambientali, altri quelli sanitari e così via. I programmi sono tutti abbastanza enfatici, propongono invariabilmente una “città nuova”, ma poi esiste, soprattutto nei casi migliori, una solida continuità amministrativa. Giuseppe Sala è stato un eccellente sindaco di centrosinistra ed era stato un eccellente direttore generale del comune di Milano, nominato da Letizia Moratti.

 

È abbastanza naturale che ci sia una fascia ampia di elettori che non ritiene ci sia una gran differenza tra le diverse proposte amministrative, e quindi non si esprima, senza che questo significhi una sorta di rifiuto dei meccanismi democratici. Un altro fenomeno che va considerato è la distanza tra le candidature amministrative e le prospettive politiche roboanti che vengono agitate da alcuni leader populisti. Aver voluto dare al voto comunale il senso di una spallata decisiva in vista di un cambiamento radicale è stato controproducente. I populisti si sono trovati senza popolo, e quando poi cercano di minimizzare gli esiti positivi della sinistra ricorrendo alla retorica dell’astensione diventano addirittura patetici. Oltre al popolo evocato nelle fantasmagorie sovraniste c’è anche il popolo vero, che quando si trova di fronte a proposte poco convincenti mugugna e non si fa trascinare, il che è sintomo di saggezza, non di disaffezione.