Il Cts straparla ancora

Luciano Capone

Draghi pensava di aver messo ordine nel comitato che andava a briglia sciolta con Conte, ma dopo alcuni mesi di discrezione si torna alle cattive abitudini. Sempre più spesso membri del Cts esprimono giudizi su decisioni politiche, alimentando confusione e contraddittorietà

Il Cts è stato una delle cose a cui Mario Draghi ha messo mano per rendere più efficace la gestione dell’emergenza appena diventato presidente del Consiglio. Subito dopo la sostituzione di Angelo Borrelli con Fabrizio Curcio alla Protezione civile e di Domenico Arcuri con il generale Francesco Paolo Figliuolo per il piano vaccini, Draghi ha sfoltito e riordinato il Comitato tecnico scientifico: 12 membri anziché 26, con un coordinatore (Franco Locatelli) e un portavoce (Silvio Brusaferro). In precedenza la composizione pletorica si era distinta anche per la cacofonia, prese di posizione diverse sui media, fughe di notizie e messaggi contraddittori.

 

L’obiettivo di Draghi era quello di avere un Cts più discreto e coordinato con il governo per esprimere una comunicazione chiara e univoca con l’esterno. Ma la “rivoluzione”  si è fermata a metà. Dopo un inizio caratterizzato da un certo understatement, il Cts è tornato a sembrare quello del governo Conte. Non tanto per alcune previsioni sbagliate (ad esempio c’era chi stimava 30 mila casi giornalieri ad agosto dopo i festeggiamenti degli europei) perché, come diceva il premio Nobel Niels Bohr, “è difficile fare previsioni, soprattutto sul futuro”, ma per un progressivo sconfinamento nel terreno della politica.

 

Un esempio è Sergio Abrignani, uno stimato immunologo membro del  Cts, che da un po’ di tempo ha intensificato la sua presenza sui media esprimendo pareri personali che non riguardano i dati scientifici ma le decisioni politiche. Peraltro in maniera contraddittoria. “L’obbligo vaccinale è l’unico modo per controllare la malattia”, diceva   un mese fa. L’altroieri, invece, a Maurizio Landini della Cgil che in un confronto tv invocava il vaccino obbligatorio, Abrignani ha risposto che “l’obbligo  non è praticabile in questo momento”. Non è importante quanto siano fondate le affermazioni di Abrignani – una, nessuna o entrambe –, ma non spetta a singoli esponenti del Cts esprimersi su questi temi. Tocca alla politica.

 

Allo stesso modo, Abrignani ha contestato la richiesta di tamponi gratuiti insieme al green pass fatta da Landini dicendo che “chi non si vaccina è come un evasore fiscale perché beneficia dell’immunità di gruppo, e offrire tamponi gratuiti a chi non si vaccina è come regalargli un condono fiscale”. Per quanto la posizione possa essere condivisibile, seppure attraverso la forzata metafora dell’evasione fiscale, non spetta al Cts esprimersi su questioni di policy. A difendere le ragioni della decisione del governo sui tamponi a pagamento dalle argomentazioni di Landini dovrebbe esserci un ministro, perché la gratuità o meno del tampone è una questione strettamente politica e non scientifica.


Uguale e contrario è il caso della mascherina nelle scuole. Nella conferenza stampa di inizio mese, il ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi e il ministro della Salute Roberto Speranza, in accordo con Draghi che era lì presente, hanno comunicato la possibilità di far togliere la mascherina nelle classi in cui tutti gli alunni risultino vaccinati. La decisione presenta degli aspetti controversi, perché sappiamo che per quanto i vaccini siano efficaci c’è sempre la possibilità che in maniera residuale ci sia trasmissione del virus anche tra vaccinati. La scelta di far togliere la mascherina presenta pertanto un elemento di rischiosità. Ma il governo avrà ritenuto che il nudge, ovvero l’incentivo dell’abbassamento della mascherina, sia utile per spingere le famiglie a vaccinare i propri figli. E che pertanto l’effetto positivo di questo incentivo sia prevalente rispetto al possibile effetto negativo. Il Cts su questo la pensa diversamente dal governo, ritiene che le mascherine debbano restare sempre su, in ogni caso, probabilmente anche per evitare rischi legali (è anche questa la preoccupazione nel ministero della Sanità). In ogni caso è giusto che il Cts fornisca il suo parere tecnico-scientifico al governo affinché in Consiglio dei ministri vengano prese decisioni informate e consapevoli, ma non è corretto che poi contesti queste decisioni in pubblico. Lo ha fatto qualche giorno fa sempre Abrignani e sabato, intervistato dalla Stampa, il portavoce del Cts Brusaferro dicendo che “oggi non siamo ancora nella condizione” di far togliere la mascherina nelle classi in cui sono tutti vaccinati.


Non si capisce bene che titolo abbia il Cts per smentire una decisione già annunciata dal governo. A prescindere dal merito, se cioè sia una posizione giusta o sbagliata, c’è un problema di metodo: il Cts è un organo consultivo e non di commento delle decisioni politiche. E questa confusione è problematica sia quando il Cts si esprime a favore delle policy del governo (perché sembra un organo politicizzato più che scientifico) sia quando le contesta (perché manda messaggi contraddittori rispetto alla strategia, a torto o a ragione, stabilita dai decisori politici). Che poi è esattamente il difetto congenito del Cts, che Draghi pensava di aver risolto.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali