festival dell'innovazione

L'innovazione dell'Italia. Il futuro del governo

Le sfide del paese e quelle di Mario Draghi. I principali esponenti dell'esecutivo illustrano rischi e obiettivi legati al piano di riforme (alcune impopolari, tutte necessarie). Sullo sfondo la partita del Quirinale e una dialettica tra partiti avversari che in fondo vanno più d'accordo di quanto non si pensi

L’innovazione al centro del dibattito, l’agenda di governo, che del resto con l’innovazione ha molto a che fare, sullo sfondo. Eccoli, sul palco della Scuola Grande della Misericordia di Venezia, in occasione del Festival fogliante, alcuni dei principali esponenti del governo Draghi. C’è Roberto Garofoli, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio che per la prima si concede alla stampa, e che rivela aneddoti inediti sul suo rapporto col premier Mario Draghi. C’è Renato Brunetta che spiega il “momento magico” dell’Italia, annunciando “una crescita del pil che quest’anno arriverà al 7 per cento”. C’è Marco Leonardi, che coordina la programmazione del governo da Palazzo Chigi e indica i prossimi obiettivi dell’esecutivo su pensioni e politiche attive del lavoro. C’è Dario Franceschini, che nega le sue ambizioni quirinalizie e difende le sue soprintendenze dalle critiche di chi, come Roberto Cingolani, pure lui presente alla festa del nostro giornale, ribadisce la necessità di non cedere all’ideologia del Nimby.

 

ROBERTO GAROFOLI, SOTTOSEGRETARIO ALLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO

Fare le riforme, anche se sono impopolari. Il monito di Mario Draghi, tocca a Roberto Garofoli spiegarlo. E lo fa, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, in un intervento al Festival dell’Innovazione del Foglio che rappresenta la sua prima uscita pubblica da quando, nel febbraio scorso, ha preso servizio a Palazzo Chigi. “Il Pnrr costituisce per l’Italia un’occasione storica, che però delinea un percorso di superamento dei nodi strutturali che da sempre limitano lo sviluppo e la crescita del paese”. Eccola, allora, l’impopolarità insista al piano di riforme. “Anche quella sulla Concorrenza, che dovrebbe essere una legge attuale e che però non viene aggiornata dal 2017, è una riforma che incide su alcuni grumi di interessi costituiti. Abbiamo su questo fronte l’urgenza di fornire risposte chiare alla Commissione europea, ma al tempo stesso dobbiamo aprire un confronto anche pensando agli altri stati membri. In alcuni dei quali, ad esempio, le concessioni idroelettriche su cui il governo sarà chiamato a decidere prossimamente, sono addirittura perpetue”. Impopolare anche la modifica del reddito di cittadinanza? “E’ inevitabile lavorare con un certo tasso di innovatività su questo settore: dal reddito alle politiche attive e agli ammortizzatori sociali. Molto spesso le imprese non riescono a trovare le competenze di cui hanno bisogno, anche perché la pandemia ha innescato un processo di cambiamento che ha portato all’invecchiamento precoce di molte professionalità”.

Ed ecco, però, che a fronte di questo ingente piano di riforme, viene da chiedersi quale sia l’innovazione apportata dal cosiddetto “metodo Draghi”. Ed è qui che Garofoli confessa un piccolo segreto, un aneddoto finora rimasto inedito. “Non conoscevo il presidente Draghi: l’ho incontrato per la prima volta quando ho giurato alla formazione del governo. E’ stato lui stesso ad annunciarmi la mia nomina: mi ha telefonato un paio d’ore prima che salisse al Quirinale con la lista dei ministri”. Decisionismo assoluto, dunque? Non proprio. O non solo, quantomeno. Perché, a sentire Garofoli, “la novità portata da Draghi sta forse nel metodo. C’è anzitutto l’ascolto delle molte istanze che arrivano dalle forze di maggioranza. Poi un confronto, che spesso è anche robusto tra i vari ministri sulle molte questioni tecniche e politiche affrontate nelle cabine di regia. Incontri che, a differenza di quanto spesso si pensi, tra le varie forze politiche c’è una certa armonia. Anche Lega e Pd, sì, vanno molto più d’accordo di quanto non si dica, perché evidentemente c’è una diffusa consapevolezza dell’eccezionalità del momento. Infine, a valle di questo percorso, c’è la decisione: un atto a cui il premier non si sottrae mai. Il tutto, comunque, inserito in una programmazione che non è solo settimanale, ma anche di lungo periodo”.

E in questa programmazione, cosa si prevede che accada a febbraio, quando si eleggerà il nuovo presidente della Repubblica. “Di questo – si schermisce Garofoli – a Palazzo Chigi non si parla mai. La programmazione guarda comunque fino al 2026, cioè alle varie tappe che devono portarci alla realizzazione del Pnrr. Il che, certo, non significa che il prossimo governo non avrà margini di manovra per promuovere politiche pubbliche diverse dalle attuali. Ma spero che nessun governo voglia decelerare sul percorso delle riforme, ne sottrarsi agli impegni presi con l’Ue”.

 

MARCO LEONARDI, CAPO DEL DIPE

Gli obiettivi raggiunti e quelli da perseguire. “Finora abbiamo costruito l'architettura del Pnrr. Ma adesso comincia la vera sfida che è l'implementazione del Recovery, con il monitoraggio della prima tranche dei finanziamenti europei da parte della cabina di regia istituita dal governo”. Definire la tabella di marcia, del resto, fa parte del suo lavoro a Palazzo Chigi. Perché Marco Leonardi è il capo dipartimento alla Programmazione economica presso la Presidenza del Consiglio dei ministri. Ed è lui che chiarisce, intervenendo al Festival dell'Innovazione del Foglio, quali sono gli obiettivi del governo Draghi per i mesi a venire: “I veri enti attuatori sono i comuni e sarà lì che si dovrà valutare la caduta dei progetti europei. Per questo ci dovrà essere una sorta di tutoraggio, di aiuto nei confronto di chi dimostra di non saper rispettare il crono programma". Non ci sarà, come spiega Leonardi, un sistema di punizioni per gli enti inadempienti ma "una forma di aiuto, vista la storica difficoltà che abbiamo nel nostro paese a spendere i fondi europei". Per questo, fondamentale sarà "investire sulle competenze tecniche di chi dovrà completare sui territori i progetti, colmando le disparità territoriali. Tenendo presente che ci siamo dati l'obiettivo ambizioso di investire il 40 per cento delle risorse al sud". 

L'impatto che la pandemia ha avuto sulle dinamiche occupazionali è stato notevole. Cosa si può fare per colmare il vuoto di competenze che emergono nel mercato del lavoro italiano? "Nel Pnrr su questo tema abbiamo un progetto molto ambizioso, e cioè cercare di riqualificare fino a 3 milioni di persone entro il 2025", dice Leonardi. "In alcune regioni come Lombardia e Veneto i centri per gli impiego funzionano bene. La sfida è arrivare a una omogeneità a livello nazionale". Entro la fine dell'anno, comunque, rassicura il consigliere economico di Draghi, arriverà la riforma degli ammortizzatori sociali, che dovrà tenere conto dell'uscita da un'emergenza economica "che un po’ rischia di cristallizzare il mondo del lavoro. Non dobbiamo impostare il dopo sulle stesse basi di adesso". 

Alla fine dell'anno scadrà quota 100, cosa farà il governo? "E' una decisione che spetterà alla politica. Ma è chiaro che siamo ancora in una fase di transizione rispetto al sistema contributivo. Ritengo che delle soluzioni accettabili sarebbero quelle che consentono una fuoriuscita facilitata per alcune categorie professionali specifiche: ad esempio chi ha svolto lavori gravosi oppure con il ricorso a Opzione donna". 

 

ROBERTO CINGOLANI, MINISTRO DELLA TRANSIZIONE ECOLOGICA

Era arrivato al governo come il superministro grillino. Ora, a distanza di pochi mesi, ne è diventato il principale bersaglio. “Ma io non trovo di essere il nemico del M5s, con colleghi ministri e parlamentari ho rapporti costruttivi, parlo spesso con Beppe Grillo e con lui condivido l'urgenza di definire una politica energetica di qui al 2050”, replica Roberto Cingolani, il responsabile di quella Transizione energetica che però, dice lui, “non deve avvenire né troppo lentamente, perché verremmo meno ai nostri impegni internazionali e all'urgenza di tutelare il pianeta, né tuttavia troppo in fretta, perché la transizione è un processo complesso che ha anche ricadute sul campo”.

Anche per questo, dunque, Cingolani si dice consapevole dei rischi occupazionali legati alle scadenze europee (in particolare quelli che incombono sul distretto motoristico emiliano in relazione al programma comunitario Fit for 55): “Non voglio fare deroghe sulla transizione, ma per alcune nicchie particolarmente eccellenti si può fare una riflessione e valutare coi colleghi europei l'opportunità di eventuali forme di flessibilità”.

Insomma, Cingolani preferisce un approccio pragmatico, basato sulle evidenze scientifiche, e non ideologico. “Se trionferà l’ideologia nimby, servirà una riflessione”. Lo dice, Cingolani, anche in riferimento ad alcuni attriti avuti coi parlamentari di Pd e M5s in merito ai progetti connessi al Pnrr. “L'autonomia del Parlamento non si discute, ma spero non prevalgano obiezioni ideologiche rispetto agli impegni legati al Recovery plan. Dobbiamo aggiungere 72 gigawatt nei prossimi 9 anni, 8 all’anno. Vedremo se ci riusciremo. Tra breve renderemo pubblica una road map in cui inseriremo le aste, in modo che tutti sappiano quando si terranno nei prossimi 5 anni. Abbiamo redatto un piano e gli investitori sono pronti”.

Infine, una sollecitazione sulla questione romana, e sull'anomalia di una capitale che è tra le pochissime metropoli occidentali a non avere un termovalorizzatore nel proprio territorio. Servirebbe? “Mi sembra che ci sia un po’ di lavoro da fare: non conosco la percentuale di Roma nella differenziazione, ma se siamo intorno al 50 per cento bisogna aumentarla ed evitare di pensare a discariche per il futuro. Se poi il cambiamento nella differenziata non avviene o è negativo, a quel punto forse bisogna riflettere su altre soluzioni”.

 

RENATO BRUNETTA, MINISTRO DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

“Un mese per avere il nuovo contratto per il lavoro agile”. E una crescita del pil che “potrà essere anche del 7 per cento, quest’anno”. Renato Brunetta arriva nella sua Venezia con una grossa carica di ottimismo. E però, mentre indica prospettive rosee per il futuro prossimo dell’Italia, non nasconde i rischi e le difficoltà passate.

Fare dello smart working, uno strumento emergenziale, una “soluzione permanente”. Questo è il “grande equivoco” in cui, dice il ministro della Pubblica amministrazione, “l’Italia ha risciato di cadere”.  Perché se è vero che “fu certamente un'idea smart, intelligente e coraggiosa, quella di mettere all'inizio della pandemia tutti i lavoratori pubblici in cosiddetto smart working”, è anche vero, spiega Brunetta, che il tutto “è stato fatto all'italiana. Non c'era un contratto di lavoro, non c'era organizzazione del lavoro, on esisteva la piattaforma tecnologica. Tutti sono finiti a lavorare da casa con mezzi propri. Pensate a cos'è successo al caso hacker nella regione Lazio”. E allora? “Allora, da vecchio socialista e professore di economia del lavoro, innanzitutto mi sono detto: serve un vero contratto per il lavoro agile, formalizzando la parte normativa. E credo che di qui un mese questo contratto sarà pronto".

Fa di conto, Brunetta. "Ho calcolato – dice – che noi dovremo avere e per rimpiazzo fisiologico del turnover 100-110mila posti all'anno, e per fare la montagna di progetti previsti dal Pnrr un numero altrettanto rilevante di concorsi per selezionare giovani con contratti a termine per i prossimi 5-6 anni".

La gestione di questo processo quali tempi richiede? "Il tempo dell'elezione della presidente della Repubblica", sorride il ministro di Forza Italia, "ovvero la durata di un suo mandato: almeno sette anni. Noi in questo momento stiamo vivendo un momento magico come paese: Fauci ci ha fatto i complimenti, stiamo uscendo bene dalla pandemia, stiamo crescendo al 6 per cento e forse anche di più. Perché se funziona la strategia del green pass, e già da ieri l'effetto annuncio ha prodotto un raddoppio delle prenotazioni, e quest'onda significa riaprire, dai musei al terziario urbano, noi viaggiamo verso il 7 per cento. È una congiuntura astrale strepitosa: arrivano gli investimenti dall'estero, l'Italia sta diventando simpatica oltre gli stereotipi. Un paese funzionale. Questa però non può essere una fiammata, ma dev'essere un fenomeno strutturale e dunque durevole".

 

DARIO FRANCESCHINI, MINISTRO DELLA CULTURA

Alle critiche di Roberto Cingolani, suo collega in Cdm che nel criticare un certo “ambientalismo radical chic” ha alluso all’azione ostruzionistica delle soprintendenze, Dario Franceschini risponde con fermezza: “Va molto di moda prendersela con le soprintendenze che tutelano le nostre costo e i nostri centri storici”, dice il ministro della Cultura intervenendo al Festival dell’Innovazione del Foglio. “La tutela del paesaggio è fondamentale, e nona  caso siamo l’unico paese che ha inserito questo principio nella propria carta costituzionale. Poi, certo, c'è chi sbaglia, ma non si può generalizzare. E Cingolani lo sa benissimo. Da qui a parlare male delle soprintendenze ci andrei molto cauto”.  Un ministero che frena il Pnrr e l’economia? “Al contrario”, ribatte Franceschini. “Sono ministro della Cultura, e dunque guido il ministero economico più importante del paese". 

E forse è proprio in questa veste che, proprio lui che è sempre stato tra i ministri rigoristi nella gestione della pandemia, negli ultimi giorni ha invocato la riapertura generalizzata di cinema e musei. "Entro il 30 settembre il comitato scientifico dovrà dare un parere sui nuovi parametri per musei, cinema. Se i treni sono pieni non capisco perché cinema e teatri ancora non possano tornare alla normalità". Ma se questa è una polemica che lo ha visto, stando ai retroscena, opposto al collega Roberto Speranza, una battuta pungente Franceschini la rivolge, a favore di telecamere, a Renato Brunetta. "Renato dice che stiamo meglio rispetto a un anno fa”, punge il dirigente del Pd rivolgendosi al ministro della Pa seduto in platea. “Ricordiamoci come stavamo due anni fa, con un governo antieuropeista e sovranista". Fuoriprogramma di Brunetta che interviene: "Caro Dario, eravamo all'opposizione anche del Conte 1. Ma sappiamo coglierne le differenze rispetto a quello successivo con il Pd".

Ancora, il ministro della Cultura continua: "Vorrei che si recuperasse dalla Prima repubblica la capacità di confrontarsi, senza dividersi sui valori fondanti”. E poi liquida, come suggestione giornalistica, le sua ambizioni da Quirinale. “Quando leggo il mio nome come possibile candidato alla presidenza della Repubblica mi metto a ridere, anche perché ormai è un gioco di società. Ambizioni? Nessuna. Al Quirinale non si ambisce”.

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