Il Conte spudorato contro Salvini

Luciano Capone

L'ex premier sa che siamo un paese senza memoria politica. Ma aver fatto da manichino per la propaganda della Lega non lo rende esente da responsabilità, anzi. Anche perché la prima firma sui "decreti sicurezza" è sua

Questa legislatura è iniziata con un governo formato da due partiti che vagheggiavano l’uscita dall’euro e chiedevano l’impeachment del presidente della Repubblica; a metà legislatura, ci ritroviamo con quelle stesse forze politiche in un governo guidato dall’ex presidente della Bce e favorevoli un secondo mandato per il Capo dello Stato che volevano incriminare. In Italia le cose valgono nel momento in cui si dicono, figurarsi dopo tre anni. Però dovrebbe esserci pure un limite, dettato non tanto dalla coerenza – che non si sa se sia un valore – ma quantomeno dal pudore. E invece non è così.

 

Un esempio di spudoratezza politica è l’intervista di Giuseppe Conte al Corriere, in cui attacca il suo ex vicepremier Matteo Salvini: “Ma lui che cosa ha fatto sull’immigrazione? – ha detto l’ex premier – Gli chiesi, senza successo, di migliorare il sistema dei rimpatri, ma non ci riuscì pur avendo i pieni poteri di ministro”. E ancora: “I decreti sicurezza hanno messo per strada decine di migliaia di migranti dispersi per periferie e campagne”. Per concludere: “Salvini da ministro dell’Interno sui rimpatri e sull’immigrazione ha fallito. E’ un dato di fatto”.

 

Ci sono altri dati di fatto, che non è possibile occultare. Essersi prestato a fare da manichino per la propaganda leghista con il cartello “#decretoSalvini” in mano non rende un presidente del Consiglio non responsabile, anzi è un'aggravante. Avrà fatto solo da prestanome, ma il “decreto sicurezza” è a prima firma “Giuseppe Conte” insieme a Matteo Salvini. E’ un atto nato su iniziativa del presidente del Consiglio. In conferenza stampa, con Salvini a fianco, Conte difese a spada tratta la legge, con argomenti opposti agli attuali. Parlava di “disallineamenti significativi rispetto alle discipline degli altri paesi Ue” e pertanto serviva “un sistema di revisione e riordino per una più efficace disciplina”, che in ogni caso sarebbe rimasta “in un quadro di assoluta garanzia per la tutela dei diritti fondamentali delle persone”.

 

Erano evidenti stupidaggini. E pertanto è giusto oltre che lecito cambiare idea. Ma l’Avvocato del popolo, se avesse avuto un po’ di onestà intellettuale, avrebbe dovuto dire ai suoi ex assistiti: “Io e Salvini sui rimpatri e sull’immigrazione abbiamo fallito. E’ un dato di fatto”.

 

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali