La staffetta italiana che ha vinto la medaglia d'oro nella 4x100 alle Olimpiadi di Tokyo (Ansa)

Non bastava la nazionale

“Bisogna fare come alle Olimpiadi”, la scemenza motivazionale dell'estate

Arnaldo Greco

Accade ormai da anni che lo sport sia, in mancanza di ideologie e, perfino, prassi più chiare, fonte di ispirazioni e metafore per la politica. Poveri noi

Tommaso Paradiso cantava “sei la Nazionale del 2006”, ma con la vittoria degli Europei, praticamente all’istante, sono cominciati a fioccare i primi “dobbiamo” e “bisogna fare come la nazionale” del 2021. “A Milano serve collettivo forte come la Nazionale di questi Europei” (Salvini) oppure “il nostro partito sarà come la Nazionale, spazio a tutti” (Toti) e ancora “Siamo come l’Italia di Mancini” (Gualtieri) o “stiamo uniti, facciamo come la Nazionale di Mancini” del presidente delle Marche, Acquaroli, in cui si riconosce anche una punta di orgoglio locale viste le origini comuni col mister condottiero. (Peraltro, sponsor del turismo in regione). Anche se il ritaglio di giornale migliore è quello di un bravo medico che obbligato a rilanciare con parole ancora più forti un concetto che pensavamo scontato come “vaccinatevi tutti”, ha detto “si vince insieme, come la Nazionale, basta masticare chewing-gum, vaccinatevi”.

 

In realtà accade ormai da anni che lo sport sia, in mancanza di ideologie e, perfino, prassi più chiare, fonte di ispirazioni e metafore per la politica. E i profili di diversi leader di partito sono ormai più lesti di quelli della Gazzetta dello Sport nel congratularsi con quell’atleta per la vittoria o la medaglia grazie alla quale hanno donato gioia al paese, hanno impartito un insegnamento esemplare ai nostri connazionali e hanno saputo trasmettere grandi valori. Il fatto è che “fare come la Nazionale” suona tanto bene, inorgoglisce, ma, a ben pensarci, non si capisce poi tantissimo. Infatti la frase può avere senso giusto in bocca a Spalletti o Mourinho, al posto di “dobbiamo giocare con un centrocampo di qualità” oppure “non usiamo più il contropiede”. Ma in altri ambiti?

 

Intanto, però, dopo gli Europei ci sono state le Olimpiadi e anche lì filotto di congratulazioni e, subito dopo, di metafore s’è rinvigorito. E anzi, visto che le Olimpiadi sono considerate più nobili del calcio, a questo punto non solo la politica s’è sentita in dovere di ispirarsi. Così ecco l’editoriale “la politica impari dallo sport”, poi si scopre che “vinceremo la sfida digitale come alle Olimpiadi”, ma si sono potuti collezionare anche un “l’Italia riparta dai suoi migliori Giochi olimpici di sempre” e poi ancora – in un crescendo di metafore sempre più ardite – “la crisi climatica come le Olimpiadi: serve spirito di squadra” o “l’Italia del mobile stupisce il mondo come l’Italia dell’atletica” che a meno di non immaginare gare di corsa tra mobili a rotelle è un’immagine di difficile trasposizione nella realtà. Certo, c’è di sicuro l’estate dei record italiani per cui a qualcuno sono sembrati da festeggiare persino i 49° raggiunti in Sicilia pochi giorni fa e c’è l’ossessione del discorso ispirazionale, del titolo a effetto e dell’orgoglio a buon mercato (alla base di quell’altra serie di analisi serie su quanto le vittorie valgano in Pil) e quindi non basta averci fatto gioire per qualche giorno, ma deve ispirarci necessariamente.

 

Dobbiamo andare in ufficio con l’animo di Filippo Tortu o con l’abnegazione di Federico Chiesa che fa tutta la fascia. Forse ci si può riconoscere la stessa tenerezza della Coppa Cobram solo adattata a questi anni in cui il motivazionale è d’obbligo, un po’ para-religioso, un po’ para-sportivo. Proprio in questi giorni si è saputo di un canottiere che ha partecipato alle Olimpiadi e che tiene tuttora conferenze per aziende in cui spiega perché non è riuscito a vincere, cosa gli è mancato e come evitare nel proprio lavoro i suoi errori. Come lui riesca a guadagnare oggi pur dall’aver perso ieri è, invece, la cosa davvero motivazionale.  

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