Immigrazione, flash mob davanti alla Camera dei Deputati del comitato #ioaccolgo (foto Mauro Scrobogna /LaPresse) 

Tre scogli da superare per non fallire ancora una volta sull'immigrazione clandestina

Paolo Cirino Pomicino

I problemi non finiscono mai in una stagione difficile come quella che stiamo vivendo. Per l’Italia, poi, ogni questione si acuisce per la debolezza di una politica che impegna il proprio tempo più a contrastarsi ogni giorno con dichiarazioni improvvide e spesso banali che non a suggerire soluzioni praticabili. L’esempio più drammatico è dato dal fallimento di tutte le politiche di tutti i governi sul delicato tema dell’immigrazione clandestina. Oggi abbiamo la fortuna di avere un governo che ha una autorevolezza internazionale e non possiamo fallire ancora una volta.

 

Ricordiamo innanzitutto il perché dei tanti fallimenti. L’Italia come paese prospiciente l’Africa è esposta più di tutti ai flussi migratori clandestini. Il paese e i suoi governi si sono sempre trovati stretti da tre questioni insuperabili:

a) l’obbligo morale e giuridico di salvare chi rischia di annegare e di non riconsegnarli alla Libia perché significherebbe darli nelle mani di stupratori e di  torturatori;

b) l’impossibilità di una ricollocazione dei migranti salvati tra i paesi della Unione per i veti di alcuni stati del nord Europa e dell’est europeo;

c) la difficoltà a integrare da soli le migliaia di migranti clandestini in un paese come il nostro già affannato da problemi di lavoro, di abitazioni e di grande debolezza politica e sociale.

 

Questi tre vincoli oggettivi hanno strozzato qualunque iniziativa compresa quella inquietante di aver dato soldi e mezzi non al governo di Al Sarraj riconosciuto dalla comunità internazionale ma alla guardia costiera libica, il cui livello di delinquenza era ed è fin troppo noto. E allora come se ne esce? 

    
Fra i tre vincoli citati quello che più facilmente può essere sciolto è quello del rimpatrio dei migranti. Questo rimpatrio moralmente e giuridicamente potrebbe avvenire solo se il centro di accoglienza in Libia venisse gestito dall’Unione europea, il che garantirebbe il rispetto dei diritti umani e potrebbe essere anche uno strumento di un immigrazione controllata (in qualche maniera anche formata) verso l’Europa visto che l’Unione nel prossimo futuro avrà bisogno di lavoratori extracomunitari. Questo centro di accoglienza potrebbe anche rimpatriare in altri stati di provenienza tramite accordi con la Ue. La Libia non si opporrebbe, in particolare per gli impegni assunti dall’Unione Europea per nuovi massicci  investimenti promessi in tutto il paese, che avrebbe, di conseguenza, l’obbligo di tutelare la propria frontiera meridionale.

 

Inoltre già oggi in Libia l’Italia da sola ha circa ottocento persone tra militari e carabinieri per attività formativa e di tutela. Tutto questo avrebbe un costo certamente inferiore ai 6 miliardi di euro dati a Erdogan per tutelare le frontiere mediorientali. Con questo tipo di organizzazione ogni barcone salvato potremmo riportarlo con tutti i suoi disperati passeggeri in un centro di accoglienza europeo portando in tal modo “Lampedusa in Libia”.

 

In questi ultimi tre anni l’Italia ha abbandonato la Libia e il suo governo riconosciuto, tanto da rimettere in gioco i turchi di Erdogan e i mercenari di Putin. Draghi oggi ha l’autorevolezza per ottenere questo dall’Europa, anche perché l’opzione è ragionevole e ripete sotto altre spoglie, peraltro più civili, l’esperienza con la Turchia di Erdogan. Abbiamo detto sciocchezze? Possibile, ma qualcuno dovrebbe fare proposte altrettanto semplici e praticabili piuttosto che lamentarsi gridando contro altri che rispondono a loro volta con altrettante urla offrendo uno spettacolo che non si addice a un paese di grandi tradizioni politiche come l’Italia.

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