Altro che spazzatura

I rifiuti danno spettacolo

Storia di una discarica che grazie alla fiducia nel progresso tecnologico e scientifico ha trasformato un intero paese. Viaggio a Peccioli, tra le colline pisane, dove la monnezza diventa sostenibilità e cultura

Marianna Rizzini

La statua bianca spunta dal terreno con la sua grande testa e si protende con l’altrettanto grande mano verso quella che – si apprenderà dopo – è una cucina mobile indipendente per gli eventi che si svolgono nell’anfiteatro al centro della discarica. E insomma non si è neanche all’inizio della visita al sito di smaltimento e trasformazione rifiuti di Legoli, frazione di Peccioli, Valdera, tra le colline pisane, e uno stupore misto a incredulità si impossessa del visitatore. Non è solo una discarica, quella, come Peccioli non è solo un paese. E non è solo un sito, il luogo ora diventato anche opera d’arte, con video-installazione nel Padiglione Italia alla Biennale di Venezia: una finestra sull’impianto ripresa da una telecamera attiva giorno e notte. E quando ci si affaccia dal piccolo dirupo non si sa dove guardare: ai colori dell’opera nell’opera, quella fatta dall’artista di neoavanguardia David Tremlett sotto ai monti artificiali dei rifiuti coperti? O ai disegni di Staino-Bobo, laggiù, di lato, quelli che parlano del “mostro spazzatura”? O ai pendii dove il camion compattatore, in lontananza giocattolo sgargiante, tritura rifiuti andando avanti e indietro, sotto gli occhi di gabbiani troppo composti per il visitatore romano, abituato a ben altri cumuli e a ben altri volatili? 

   
E insomma la discarica è lì, davanti agli occhi, ma tutto sembra tranne che una discarica
, e infatti nell’anfiteatro che sorge sopra un monte compattato e sigillato di rifiuti sono venuti a esibirsi musicisti e attori, ultimo dei quali, qualche giorno fa, Toni Servillo. E ci vengono scolaresche in visita di approfondimento sui modelli di sostenibilità ambientale con profilo anche industriale, e  turisti e cittadini di Peccioli diventati soci della Belvedere spa, la società pubblico-privata che dal 1997 gestisce l’impianto di smaltimento rifiuti: società che fa utili e ridistribuisce sul territorio. E la cosa è autoevidente: si entra in paese ed ecco che da una via spunta la terrazza sospesa, un trampolino sulla valle davanti al Palazzo senza Tempo, ristrutturato e riqualificato dopo anni di abbandono e degrado, su idea di Renzo Macelloni, sindaco storico (primo mandato circa trent’anni fa; ultimo ancora in corso) e su disegno dell’archistar Mario Cucinella, con collaborazione tra Comune, Fondazione “Peccioliper” e società Belvedere stessa. Palazzo senza Tempo: il nome non è casuale, spiegano a Peccioli, perché “passato, presente e futuro si parlano” tra le mura restituite a una cittadinanza “resiliente”, spiega il sindaco (e la resilienza è il filo conduttore del suddetto spazio “Laboratorio Peccioli” alla Biennale di Venezia).

 

Fatto sta che neanche in quel punto, sulla terrazza a picco sulla valle, si sa dove guardare: alla biblioteca o all’Accademia di Musica, entrambe frutto della più che ventennale collaborazione tra Comune, Belvedere, Fondazione e territorio, o al palco del secondo anfiteatro? Incredibile a dirsi, dicono a Peccioli, gli iscritti ai corsi dell’Accademia sono lievitati anche a distanza, durante i due lockdown, e anche in questo caso le prove sono tangibili: il coro ha collaborato con il Maggio Musicale fiorentino, con varie produzioni musicali e con famosi direttori d’orchestra, e la pila di cd autoctoni nell’ufficio del sindaco è lì a testimoniarlo. Poi ci sono i libri, l’albergo, la piscina che presto raddoppierà, le produzioni teatrali, e gli artisti che volentieri a Peccioli prestano il proprio talento (e a un certo punto, percorrendo un vicoletto apparentemente buio, il sindaco alza gli occhi e indica la volta, illuminata da una piccola autostrada luminosa: riqualificazione di un angolo del paese dimenticato, fatta da giovani artisti cinesi). E a questo punto è chiaro che neanche Macelloni è soltanto un sindaco: è l’uomo che ha creduto, quasi trent’anni fa, in quella che all’epoca poteva sembrare una follia, per lui, uomo di sinistra. 

  
“Gramsciano, tessera Pci, migliorista, riformista, realista”, dice di sé mentre l’interlocutore chiede notizie della pluridecennale presa a cuore da parte di Macelloni non soltanto della questione smaltimento rifiuti ma per così dire dell’anima di tutto il territorio, a partire dagli abitanti più bisognosi che possono, volendo, Isee alla mano, disporre di una sorta di “dividendo sociale”: utili della Belvedere che si fanno “moneta” con cui fare la spesa o altri acquisti di necessità nei negozi di Peccioli stessa, in una specie di circolo virtuoso di reinvestimento in loco. Per non dire di quando si chiede al sindaco qualcosa della sua storia precedente alla politica, e viene fuori che da ragazzo faceva il falegname e intanto (per molti anni) studiava da privatista: dopo la quinta elementare li ha presi così, i titoli successivi, Macelloni, pensando “gramscianamente”, dice, di dover dare a se stesso “gli strumenti per difendere i diritti della classe operaia”.

 

E dice anche che “magari oggi chi fa politica iniziasse davvero dalle assemblee in cui devi imparare a farti ascoltare, cosa diversa dal farsi ascoltare al bar”, e al cronista vengono in mente le terribili chiacchiere da bar (e no-vax) di due ventenni seduti di fronte in treno poco prima, e meno male che durante il tragitto Pontedera-Peccioli, parlando del più e del meno con l’autista, anche ispettore ecologico, si è appreso che nel borgo della Valdera non soltanto ci si è vaccinati in massa, ma che l’irragionevolezza non ha mai varcato il confine, anzi. E insomma, venendo da Roma, Peccioli non pare Eldorado soltanto per i rifiuti, ma anche per i toni di chi amministra cosa pubblica e cosa privata. Sì, c’è un’industria, industria sostenibile, ma senza contorno di ideologie Nimby, la massima “not in my backyard” – basta che non sia nel mio cortile – frase-tormentone ogni volta che qualcuno nomina le parole “discarica, inceneritore, termovalorizzatore”. 

 
Per l’impianto di Legoli è successo tutto il contrario: non che non ci fosse, una sindrome Nimby, a fine anni Ottanta, quando si parlava della discarica non gestita che raccoglieva i rifiuti di sei comuni della zona e si gridava da più parti alla chiusura. Solo che poi Macelloni, a inizio Novanta, ha deciso di percorrere la via in salita della bonifica, dell’ampliamento e del risanamento, in accordo con la Regione e con sprezzo del pericolo rappresentato dall’opinione pubblica contraria (“forse questa vicenda dimostra che quando fai qualcosa e non insegui subito il consenso i risultati arrivano, e poi con calma arriva anche quello”, dice oggi il sindaco, tre decenni e molte peripezie dopo). E dunque a Peccioli la sindrome Nimby è stata infine superata anche grazie all’approccio multidisciplinare e agli ulteriori interventi, tra cui, negli anni successivi, l’installazione di un impianto di recupero del biogas naturalmente prodotto, da cui la produzione di energia elettrica da vendere all’Enel e quella di energia termica anche destinata al trattamento del percolato. E oggi l’impianto, individuato dalla Regione Toscana come impianto di interesse regionale, gestisce fino a mille tonnellate al giorno di rifiuti provenienti dalla provincia di Pisa, Firenze, Prato, Lucca, Livorno e Massa Carrara. E pare il colmo dei colmi per una discarica – però succede – che il Comune, per “la continua attenzione alle tematiche ambientali”, abbia ottenuto, e non da oggi, la Bandiera Arancione, marchio di qualità turistica. 

 
Ma ci dev’essere dell’altro, e infatti c’è. C’è quello che altrove viene bollato come decisionismo e che per il sindaco Macelloni, invece, è un complimento (“se non decido che mi hanno eletto a fare?”, scherza quando i collaboratori gli ricordano che i detrattori a volte lo chiamano “il dittatore”). Fatto sta che il decisionismo lo ha portato a trascorrere i mesi del primo lockdown senza mai chiudere il Comune (“nel mio ufficio non c’è mai stato lo smartworking, dovevamo dare un segnale, come dire ‘ci siamo, in questo momento duro, e lavoriamo anche per chi non può lavorare”). E nei primi giorni duri, quelli della presa di coscienza pandemica, il Comune aveva già incaricato un’azienda tessile locale di produrre le allora carenti mascherine. E se è vero che la Belvedere spa ha oggi un patrimonio netto di circa quaranta milioni di euro, e che in quindici anni di attività ha prodotto un fatturato complessivo di oltre duecento milioni, è anche vero che non c’è angolo di Peccioli che non ricordi al visitatore il concetto “dal letame nascono i fior”, per dirla con l’ormai inflazionata espressione di Fabrizio De Andrè.

 

E i fiori sono sbocciati sotto forma di fiducia nel progresso tecnologico e scientifico, cosa non scontata in tempi di vagheggiata “decrescita felice”, concetto che il sindaco di Peccioli non contempla neanche lontanamente nel suo vocabolario e nel suo piano d’azione (e anzi il suo modello procede verso la “crescita sostenibile”, per definizione felicissima). Così al sistema Peccioli non mancano piani per l’occupazione dei disoccupati non qualificati, impiegati nei lavori socialmente utili, o di assegnazione di terreni in comodato gratuito o di sostegno agli studi e alle attività extra-scolastiche dei meno abbienti, oltre all’opera estensiva di “rafforzamento del senso di comunità”, a partire dalla Belvedere spa, che per i suoi cittadini-soci organizzava, prima del Covid, anche viaggi oltreconfine, tanto che i collaboratori di Macelloni narrano del loro stupore di fronte all’adesione (“ci siamo girati, all’aeroporto di Malpensa, e abbiamo visto una coda di persone incredibile”) e alla sensazione di essere diventati un punto di riferimento, fosse anche in mezzo all’oceano, durante l’assemblea degli azionisti fatta durante la prima crociera sociale. Senza il Covid, peraltro, la biblioteca-emeroteca avrebbe continuato a permettere l’ingresso agli studenti e ai lettori fino a mezzanotte, e la Fondazione avrebbe lanciato un cartellone anticipato con gli spettacoli che ogni estate fanno sì che l’anfiteatro della discarica, e il suo gemello vicino al paese, si riempiano di visitatori dalla valle e da altre regioni (“ecco il parcheggio”, dice il sindaco mentre la macchina scende lungo i tornanti artificiali del sito di Legoli, indicando le corde che delimitano lo spazio dove gli avventori possono lasciare l’auto, proprio di fronte a quello che, all’occorrenza, diventa un ristorante autogestito). E ci si immagina il luogo come lo si è visto nelle foto: di notte, con le luci, con i colori dell’opera di Tremlett che spiccano in fondo a quello che viene chiamato “Triangolo verde”, tra calanchi di ex rifiuti nascosti sotto colline-cumuli che sembrano piste da sci, in un paesaggio che non è mai uguale nel tempo, ché di volta in volta si sceglie un’area per il trattamento, con conseguente spostamento della terra di riporto. E in un momento in cui tutto sembra impossibile, a Peccioli nulla lo è, a sentire il sindaco.

 

“Cerchiamo soluzioni creative ai problemi”, dice: “E’ bello risolverli, questo secondo me è fare politica. Prendi il problema e lo affronti con coraggio, anche se ti crei nemici. E se ti dicono ‘ma c’è una legge, ma c’è un regolamento’, tu, all’interno di quel limite, cerchi di adattare la soluzione. E poi: se partendo da un’emergenza ambientale siamo arrivati qui, non è perché siamo un’eccellenza. O meglio: l’eccellenza la fa la differenza. I rifiuti ti chiedono conto delle tue scelte tutti i giorni, e come i rifiuti te lo chiede il resto, e io ho sempre cercato di andare oltre le battaglie ideologiche e irrealistiche. Intanto qui c’è un impianto che funziona, con attenzione all’ambiente e con iniziative culturali e sociali tutto intorno. E alla fine, se sei trasparente nella comunicazione e nella gestione, le persone ti seguono anche in quelle che possono sembrare piccole pazzie. Fantasia al potere, si diceva nel Sessantotto. Beh ecco, potere non so, ma fantasia ne abbiamo tanta”.

  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.