I cortocircuiti della destra e dei sindacati sul Green pass

Luciano Capone

Non c'è solo la Confindustria che vuole norme più rigide della Cgil sulla sicurezza sul lavoro, ma anche Salvini e Meloni che dicono di difendere gli interessi delle imprese ma sui vaccini le danneggiano. Tutti rincorrono i consensi e le paure di iscritti ed elettori

La discussione sull’uso del Green pass, su cui il governo sta preparando un decreto, sta facendo emergere degli evidenti cortocircuiti. Il primo è quello del sindacato. Dopo che è emersa la posizione di Confindustria, che chiede l’utilizzo del Green pass per i dipendenti (e chi non ce l’ha può essere spostato o sospeso) allo scopo di garantire la sicurezza sul luogo di lavoro, il leader della Cgil Maurizio Landini ha reagito parlando di “una forzatura”. “Non sono le aziende che devono stabilire chi entra e chi esce – ha detto alla Stampa il segretario generale della Cgil –. Una scelta di questo tipo la può compiere solo il governo. I lavoratori sono stati i primi, durante la pandemia, a chiedere sicurezza arrivando addirittura allo sciopero per ottenerla. Io mi sono vaccinato e sono perché tutti si vaccinino. Ma qui, diciamolo, siamo di fronte a una forzatura”.

 

Non si capisce bene quale sia questa forzatura. E’ ovvio, come dice Landini, che si tratta di una decisione che spetta al governo (e soprattutto al Parlamento), ma è esattamente per questo motivo che la Confindustria ha fatto questa richiesta proprio al governo. Se quindi la contestazione non è sul metodo, su cos’è? Cosa pensa nel merito il sindacato rispetto a tema su cui, giustamente, chiede massima attenzione come la sicurezza sul lavoro? La sensazione è che, come accade per alcuni partiti politici, anche il sindacato sia preoccupato di non perdere consenso in una fascia più o meno ampia di iscritti che sono riluttanti alla vaccinazione.


Anche perché una cosa dovrebbe essere certa: se, come è ormai certo, il governo prevederà un uso più ampio del Green pass, a quel punto varrà anche per tutti i dipendenti dei settori coinvolti. Quanto ampia sarà questa fascia dipenderà dalle decisioni e dalla trattativa all’interno del governo, ma appare abbastanza logico che se sarà obbligatorio per i clienti presentare il Green pass per accedere a un locale, allo stadio o in un cinema, allora dovrà esserlo anche per tutti i lavoratori che vi operano. Sarebbe davvero paradossale se si chiedesse la certificazione verde a un cliente che, magari sta in un locale per un’ora, e non a un dipendente che ci sta per otto ore. Tanto più che si entra con il Green pass non solo se vaccinati o guariti (quindi immunizzati) ma anche con un tampone negativo, e pertanto il cliente di un ristorante sarebbe comunque esposto al contagio del cameriere (qualora al dipendente non venisse chiesto il pass per lavorare).


Ma non c’è solo la Confindustria che vuole norme più rigide sulla sicurezza sul lavoro rispetto ai sindacati. L’altro cortocircuito è quello che vede le imprese richiedere l’uso Green pass e le forze politiche di destra che pretendono di rappresentarle, come Lega e Fratelli d’Italia, che in nome delle imprese fanno la guerra al Green pass paragonandolo – senza senso del tragico e del ridicolo – alle leggi razziali e alla persecuzione degli ebrei sotto il nazismo. Com’è possibile questo disallineamento?

 

Evidentemente le imprese italiane mostrano un maggiore senso di responsabilità e lo dimostra, oltre a Confindustria, anche la Confesercenti secondo cui “l’obbligo di Green Pass è meglio della chiusura forzata” anche se “non è una soluzione indolore” (toni molto diversi da certe uscite dei partiti). Ma c’è anche una ragione economica. La legge impone ai datori di lavoro di garantire le condizioni per lavorare in sicurezza e pertanto le imprese sono responsabili se non adottano tutte le misure che limitano al minimo i possibili infortuni sul lavoro. In una certa misura, quindi, il costo degli infortuni e del contagio è internalizzato e pertanto le imprese hanno tutto l’interesse a ridurlo. Mentre al momento l’esternalità negativa del contagio prodotta dalla prossimità fisica e dal contatto nei locali e nei luoghi pubblici più esposti viene scaricata sulla collettività.

 

Magari nell’immediato, secondo la linea adottata da Matteo Salvini e Giorgia Meloni, le attività lavorano di più e con meno ostacoli ma questo comportamento produce un danno collettivo superiore (nuove possibili chiusure). Proprio è questo atteggiamento miope che giustifica un sistema come il Green pass che internalizza il costo del rischio del contagio in chi non intende vaccinarsi. Questo nel medio termine tutela la salute di lavoratori e consumatori, contiene il contagio, riduce l’incertezza e aumenta la fiducia, che poi è ciò che serve per sostenere l’attività economica. Basterebbe che partiti e sindacati guardassero un po’ più in avanti, senza rincorrere le paure e i consensi immediati.
 

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali