Stefano Scaglia, presidente di Confindustria Bergamo (foto Ansa)

l'intervista

"Green pass in azienda? Premiamo chi si vaccina", dice Scaglia (Confindustria Bergamo)

Luca Roberto

"Se non si riesce a imporre l'obbligo, facciamo leva sugli incentivi. Tornare alle zone rosse sarebbe insostenibile socialmente ed economicamente". Parla il presidente di Confindustria Bergamo

“Il costo politico di imporre l'obbligo vaccinale non può essere più alto del disastro cui abbiamo assistito nelle fasi più acute della pandemia. Per cui ragioniamoci su, senza ideologie, e facciamoci trovare preparati all'appuntamento con la stagione invernale. Perché il tema sanitario resta la priorità”. Se si domanda al presidente di Confindustria Bergamo Stefano Scaglia cosa pensi della proposta della sua associazione di categoria, che al governo sarebbe intenzionata a chiedere di vincolare la presenza in azienda dei dipendenti al possesso del Green pass, si ottiene una risposta pragmatica, tutt'altro che radicale. “Bisogna partire da un dato di fatto”. Prego. “Rispetto all'anno scorso abbiamo un'arma in più: e cioè i vaccini. Che hanno fatto calare, ce lo mostrano i dati, infezioni, ospedalizzazioni e decessi”, racconta Scaglia, con l'aria di chi dalla bergamasca è stato tra i primi a fare i conti con la devastazione sanitaria, sociale ed economica del virus. “Si continua a mettere in discussione l'obbligatorietà del vaccino, anche da parte di alcune forze politiche. Ma si dimentica troppo facilmente che in Italia ci sono già tutta una serie di vaccini che sono obbligatori. E' un paradosso tutto nostro quello per cui i bambini devono essere vaccinati mentre gli insegnanti no”.

 

Per dire del polverone che ha sollevato, la proposta di Confindustria il segretario della Cgil Maurizio Landini sulla Stampa l'ha derubricata a “colpo di caldo”. “E invece – ribatte Scaglia – è una ragionamento responsabile. Dovremmo porci già da adesso il problema di cosa accadrà a settembre-ottobre, e lo dobbiamo fare supportati dalle evidenze scientifiche, non dai pregiudizi di parte o da ragioni di consenso”. Il tema ovviamente è complesso. Sull'estensione del Green pass a più vasti ambiti della società si scontrano sensibilità diverse: e prevederne un uso sul posto di lavoro tocca questioni di privacy e di limitazione delle libertà fondamentali. “E infatti, se lasciare a casa chi rifiuta di vaccinarsi diventa impraticabile, dovrà in qualche modo essere valutata la minore pericolosità di chi ha scelto di farlo”, riflette ancora Scaglia. “Noi siamo partiti sin da subito con una serie di protocolli molto rigidi in azienda. Perché non possiamo prevedere certi allentamenti, un uso differenziato ad esempio della mensa o l'accesso ai corsi di formazione per chi è in possesso del certificato verde? Facendo così prevalere una logica di incentivi a una più strettamente punitiva”. Anche perché sarebbe insostenibile socialmente ed economicamente fermarsi di nuovo dopo essere ripartiti, adesso che le imprese italiane guardano ai mesi a venire con inedita fiducia.

Secondo Scaglia, che è al timone di un'azienda leader nella produzione di manipolatori industriali, “c'è un clima di euforia, trainato dal rimbalzo della domanda e dagli incentivi alle aziende. A maggior ragione, in autunno, dobbiamo farci trovare pronti nel caso di una recrudescenza del virus, come spero si stiano preparando per la scuola o per le attività stagionali. Sono preoccupato dall'aspetto sanitario, mentre dall’osservatorio di Bergamo non ci aspettiamo gravi crisi occupazionali legate allo sblocco dei licenziamenti. Abbiamo grande fiducia nel governo Draghi”. Che però dovrebbe essere più coraggioso, forse, nel marginalizzare le tendenze anti vacciniste di alcune forze politiche. “Se dovessimo mettere sulla bilancia un uso esteso del Green pass per completare la campagna vaccinale e un ritorno alla zona rossa, non credo che ci siano dubbi. E' bene che lo capiscano tutti”.

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