Chissà che la nota di Gallagher non apra a un punto di incontro nello scontro ideologico sul ddl Zan

Lo spazio stretto della ragione nella guerra culturale tra familismo bigotto e autodeterminazione assoluta

Giuliano Ferrara

I laici e razionali in trincea, stretti fra gli assolutismi di familisti bigotti e paladini dell’autodeterminazione di genere. Urge un compromesso

Il ministro Amendola ha fatto bene a firmare la lettera europea che censura la legislazione discriminatoria di Orbán in Ungheria nel nome dei diritti delle minoranze. Una felice interferenza. Ma il Vaticano chiede, ai sensi del Concordato, la correzione della legislazione antidiscriminatoria detta legge Zan in Italia, perché lede i diritti della minoranza cattolica (libertà di culto e indipendenza dal pensiero unico dominante per Chiesa e fedeli) partendo dal comune rigetto dell’omofobia. Un’altra felice interferenza.

 

Se un’omelia o un documento dottrinale richiamano le scritture e la morale cattolica sull’identità di genere o il catechismo cattolico sull’omosessualità o la sacramentale nozione del matrimonio cristiano come unione di maschio e femmina, che facciamo? Se la stessa questione si trasferisce sul piano dell’educazione cattolica, che facciamo? Siamo tutti, salvo faziosi e reazionari, contrari a violenza e discriminazione politica e giuridica verso chi non agisce secondo la vecchia norma collettiva, ma questo significa che dobbiamo anche essere, che non possiamo non essere favorevoli all’eguagliamento ideologico, culturale, di ogni comportamento e di ogni decisione pubblica o privata su famiglia, figli, orientamento sessuale, identità di genere, abbracciando la dottrina lgbtq, eccetera? La Corte suprema americana ha stabilito che le organizzazioni cattoliche non possono essere discriminate dai poteri pubblici perché escludono di dare in adozione bambini a famiglie omoparentali, cioè perché “discriminano” secondo la loro libertà di pensiero e azione. Discriminazione e lotta alla discriminazione, in relazione al sistema delle libertà, sono un circolo vizioso.

   

Per chi abbia un atteggiamento laico e critico, rispettoso sia della tradizione sia delle libertà individuali o identitarie, sono tempi duri. Si sta stretti tra il familismo bigotto scagliato come arma ideologica contro le minoranze e le varianti dell’amore e del sesso, e la difesa legale costrittiva e anch’essa ideologica dell’autodeterminazione di genere all’insegna del soggettivismo assoluto. Nelle guerre culturali chi combatte dalla parte della ragione occupa uno spazio quasi intenibile. Ma lì bisogna stare.

 

Pillola, divorzio, aborto, nozze gay, ingegneria genetica, teoria e pratica gender sono una rivoluzione radicale del modo di vita e di pensiero dell’occidente, sono la nuova normalità di cui non è lecito discutere senza provocare irrisione e disprezzo, suscitano com’è appena ovvio una reazione di cui si impadroniscono tendenze autoritarie, populiste, di tradizionalismo conformista e antilluminista. Gli estremismi intolleranti si toccano, e ciascuno cavalca la sua bestia. La battaglia contro l’omofobia, anche attraverso forzature della legislazione, in molti casi maschera un attacco in piena regola al matrimonio, alla filiazione naturale, all’integralità della vita umana come dato e non come costruzione ideologica. La reazione intollerante è venata di omofobia, mette in campo le paure dell’ancestrale, confonde in un calderone propagandistico istanze ovvie e valori devozionali desueti, cancellati dal progresso delle libertà e dei diritti. 

 
Chi della guerra culturale rifiuta le premesse assolutiste tipiche del modo di pensare dominante dell’uno e dell’altro segno deve scavare la sua trincea in un terreno friabile, che smotta continuamente. Da un lato stanno l’amore universale e l’indifferenza morale verso le conseguenze dell’amore, che può essere liberato da una lunga tradizione di conformismo familista però non nell’indistinzione soggettivista e relativista, vera matrice delle piattaforme identitarie capaci poi di generare gli assoluti dei diritti. Dall’altro un meschino e strumentale canonismo moraleggiante, politicizzato e ideologizzato, che fissa l’obsoleto e l’oppressivo come orizzonte nella pretesa di normare oltre il lecito la libertà umana e sociale e individuale. In mezzo chi indulge come a un vizio alla razionalità di comportamenti e giudizi, al realismo della specie e alle sue leggi, avendo in mente una autentica ricerca di autonomia della persona, di libertà dell’individuo, di ragionevole coesione dell’organizzazione sociale, della città. Chissà che la nota diplomatica di Gallagher, invece di rinverdire pietose opposizioni di principio sull’interpretazione dell’articolo 7 della Costituzione, non sia in grado di stimolare un ragionevole compromesso che limiti in tutti e due i sensi le pretese irragionevoli delle avanguardie combattenti. Ne dubito, ma si può sempre sperare.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.