Tomaso Montanari (foto d'archivio Ansa)

attivismo social

Gli slanci pindarici del professor Tomaso Montanari

Andrea Venanzoni

Su Twitter si interroga su qualsiasi argomento, dalla pandemia al fascismo. Segno che oramai per lui sono più importanti le opinioni sui social dei titoli accademici (e della coniugazione dei verbi)

Si meravigliava Giuseppe Pontiggia che sorprendente nei tuttologi non è il fatto che si occupino di tutto, ma che sembrino avere il tempo per potersene occupare. E il professor Tomaso Montanari si interroga digitalmente proprio su tutto, dall’economia alla politica, dalla pandemia al fascismo, in slanci pindarici di cui tiene a darci continua testimonianza sui propri canali social. E vien quindi da chiedersi dove trovi il tempo per convegni, lezioni, tesi di laurea, burocrazia d’ateneo, e pubblicazioni, se a quanto pare sembra anche mancargli il tempo per rileggersi ciò che scrive prima di postarlo. 

 

 

Cinguetta infatti su Twitter, “ma che Mario Draghi – la sua storia, il suo curriculum, le sue responsabilità – incarnano l'idea stessa di ingiustizia sociale, di dominio dei ricchi su poveri, di destra liberista non era chiaro dall'inizio?”. Rileggiamo bene: Mario Draghi incarnano. O stava dando del ‘loro’ a Draghi, forse per regalità augustea, forse per pronome gender, oppure solo per tragico errore, che come altri passati viene frettolosamente nascosto e pietosamente non stigmatizzato dalla congerie dei censori dei costumi e della grammatica grazie all’impegno sociale/politico del Prof., a cui in effetti nessuno ha mai davvero chiesto conto di certi svarioni. Ed il Professor Montanari è socialmente impegnato assai.

Anche a controllare la mole degli assembramenti fuori dall’uscio di casa, e non si dica che pure lui per scattare quelle foto di giovani festanti poi postate su Twitter si era addentrato nell’assembramento divenendone parte, novello Preside Skinner de I Simpson che entra in luoghi proibiti solo per chiedere come uscirne. Il metaforico ditino puntato si sente tutto. E il getto continuo di analisi da gazzettina maoista rimasta cristallizzata in un universo parallelo alla P. K. Dick in cui l’ “Uomo nell’alto castello” si chiama Mario Draghi, capo di un “gabinetto paleoliberista di destra” ci viene riversato addosso come una cortina fumogena semantica con lessico da saletta occupata di liceo anni settanta. 

 

E con una tenuta dadaista della sintassi e della consecutio, smarrendo, da professore universitario ordinario aspirante Rettore dell’Università per stranieri di Siena, in sole tre righe di frase il corretto utilizzo dei verbi.  Non so se ormai le abilitazioni scientifiche e le citazioni accademiche si facciano coi post Facebook o coi tweet, ma è chiaro che parlando del Montanari noi sapremo cosa ne pensa del covid, della politica economica, del fascismo, del governo Draghi, dei partiti che ha fondato ma sempre meno di quelle che dovrebbero essere le sue competenze accademiche di storico dell’arte e, a quanto pare da come coniuga i verbi, di come dovrebbe strutturarsi correttamente una frase. La fretta, diranno i suoi apologeti. L’urgenza del comunicare. Già me li sento a bofonchiare, ‘è il concetto quel che conta’, roba che se chiunque altro avesse sbagliato verbo sarebbero già in piazza a portare fascine per il rogo. 

C’è qui invece la consapevolezza di chi non deve nemmeno perdere tempo a ricontrollarsi la frase, preda di una frenesia, di una incontinenza da esternazione che si sa comunque sarà perdonata per quanto erronea ne possa essere la forma, nel nome dell’impegno civile, quella roba che Nicolás Gómez Dávila rubricava similmente al mestiere più antico del mondo. O forse aveva ragione Paul Rée quando scriveva “solo chi si presenta con arroganza può commettere impunito grossi errori di forma”.

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