Lo storico Franco Cardini (foto d'archivio Ansa)

Il colloquio

“Gervasoni e le accuse di vilipendio? La libertà di espressione non è il diritto di essere truci”

Luca Roberto

Parla lo storico Franco Cardini. "Si può essere anche molto critici pur non scadendo nell'insulto. Dire di affondare un barcone è apologia di reato. L'università italiana oramai è sempre più decadente"

La libertà d’espressione non equivale al diritto di dire la cosa più truce che ti passa per la testa. Tutti questi discorsi sull’imposizione di un regime li trovo fuori luogo. Non mi sembra che in Italia ci sia una dittatura”. Il professor Franco Cardini spesso viene interpellato in quota “pensatori di destra”. “Anche se a destra mi dicono che sono di sinistra”, racconta divertito in questo colloquio col Foglio. Lo abbiamo disturbato perché volevamo sapere da questo storico medievalista, tra i più autorevoli della tradizione universitaria italiana, cosa pensasse degli strepiti che si sono sollevati dopo le perquisizioni ai danni di una decina di persone in tutta Italia, accusate di vilipendio al Presidente della Repubblica. Tra questi, il professore dell’Università del Molise Marco Gervasoni, lo stesso che in passato fu allontanato dalla Luiss dopo che aveva definito l’europarlamentare Elly Schlein “n’omo”.

Una vasta galassia d’area, che va da Giorgia Meloni a Nicola Porro, ha subito gridato alla morte delle libertà. “Ma la libertà non è un concetto assoluto, infinito”, suggerisce Cardini. “Si può criticare restando nei recinti della legge. Non è obbligatorio passare le proprie giornate a glorificare il presidente della Repubblica, ma lo si può fare con una precisa cifra stilista: non mi pare di certo questo il caso. E poi per un funzionario pubblico come un professore universitario ci sono deterrenze e limiti invalicabili. Faccio un altro esempio: se muovo una critica al tricolore per il suo valore storico è un conto. Se lo equiparo alla carta igienica è tutt’altro”.

 

In questi anni di comunicazione istantanea, però, finisce per passare il messaggio che sia legittimo sostenere qualsiasi tesi, anche la più abietta, dietro al presupposto che altrimenti il pluralismo ne uscirebbe monco. Ma dire, come ha fatto Gervasoni in passato, che bisognerebbe affondare un barcone, è libertà di espressione o qualcos’altro, chessò, l’emissione di un rutto libero? “Esprimere opinioni, anche le più dure, non commettendo reati è sempre possibile. Ma solleticare così a fondo gli istinti peggiori credo equivalga all’apologia di reato. Può sembrare una battuta di spirito da dire al bar ma non è solo questo, replicata per un pubblico più vasto finisce per incidere sulla vita delle persone”, spiega a proposito il professore emerito. Quando il docente dell’Università di Siena Giovanni Gozzini rivolse alla Meloni commenti irripetibili, solo un’idiota avrebbe detto: “è la libertà di espressione, bellezza”. “Dietro queste uscite, che sono tra loro molto diverse, ci può essere una forte pulsione umorale, il tentativo di rendersi provocatori per trarne consenso personale, o il semplice bisogno di rivolgersi a un bravo psicanalista”, è il commento di Cardini. Quello che sembra accomunare queste storie è tutt’al più il desolante degradarsi dell’accademia, ridotta a casi di cronaca del genere. “Sono senz’altro i sintomi di un sistema immerso in una progressiva decadenza. Quando ero un giovane laureando – racconta ancora Cardini – sentii da quelli che considero i miei maestri, Ernesto Sestan ed Elio Cantimori, una conversazione su un concorso universitario. ‘Avremmo voluto che vincesse un altro, ma grazie ai suoi meriti non abbiamo potuto far altro che dare il posto a uno sconosciuto’. Oggi questa frase non la si sentirebbe pronunciare nemmeno dal più mediocre dei professori che insegnano nella più trascurabile delle università”.