Foto LaPresse

Per l'emancipazione dei sindaci

Giuliano Ferrara

Governare una città è un osso duro e un privilegio. Basta lotterie politiche, basta gioco delle caselle dell’ultima ora: bisogna liberare i ruoli amministrativi cruciali dalle dinamiche della politica centrale 

Governare una città, in particolare una grande città di rilievo nazionale, o una regione, è un osso duro che qualcuno deve sgranocchiarsi ben bene. E’ anche un privilegio per chi in politica cerchi una scuola per ambizioni ancora maggiori, è parte di un cursus honorum che può risultare decisivo in molti casi. Per farlo bene bisogna prepararsi per tempo, sul terreno, conoscere il campo di gioco, avere un rapporto preferenziale e vivo con il tuo pubblico, i cittadini, esprimere idee e dare una qualche misura della capacità di realizzarle. C’è come una società da mettere insieme, un blocco di forze sociali politiche culturali e magari religiose, e occorre essere capaci di una certa trasversalità, perché non è lungo una linea divisoria di tipo ideologico, nazionale o internazionale, che principalmente si decide. Si deve in linea di principio avere stima di chi si dedica al compito di formare una coalizione di governo per una città, di chi elabora proposte, si prende dei rischi, rinuncia a qualcosa di più spedito per passare dalla cruna dell’ago.

 

Nessuno nega un rapporto con i partiti, e con il partito o movimento di appartenenza, ma la mediazione civile e la capacità critica di stare dentro un confine corrisponde alla facoltà e in certi casi al dovere di attraversare qualunque confine. Deve contare la personalità, come è successo e succede a tanti sindaci e presidenti di regione, deve contare un profilo percepito, un amore vero per un mestiere molto difficile e gratificante, al contrario di quanto non si dica, almeno nella sostanza. Spesso i sindaci sono gli invincibili della politica, è accaduto a tanti delle generazioni precedenti, gente che oltrepassava i confini persino nel corso della Guerra fredda, gente che realizzava, si pensi a un bolognese come Dozza o a certi campioni del municipalismo milanese, i migliori sogni della socialdemocrazia in un contesto di socialismo o comunismo reale e di alleanze difficili ma costruite ad hoc. Gli amministratori possono essere mitici, come successe a un Petroselli a Roma, come avviene per Leoluca Orlando a Palermo, com’è stato per Bassolino a Napoli, e interpretano un ruolo fortemente radicato nella storia municipalistica e signorile di questo paese. Sono o possono essere, un Rutelli o un Veltroni o un Tognoli o un Sala, per non parlare dei maggiori nella storia italiana, i gran maestri dell’ordine della politica, creatori di modelli di comportamento, acrobati e praticoni dell’esperienza ravvicinata, sono testimoni di vitalità della Repubblica, e tali dovrebbero sempre configurarsi.

 

Che c’entra con tutto questo il vizio di farne dei campioni della politica nazionale, intesa nel senso delle alleanze elettorali e delle alchimie di segreteria politica, che sono altra cosa e vanno sperimentate nelle elezioni politiche? Perché infliggere loro l’umiliazione di primarie senza veri candidati alternativi? Perché farli sottostare al gioco delle caselle dell’ultima ora, predeterminate centralmente senza che vi sia una storia della candidatura, una sua prova empirica costruita nella relazione speciale con un vasto territorio amministrativo o con città che sono simboli di carne del fattibile e del corrispondente fallimento?


Eppure continuiamo a farci del male con questo vecchio abuso della lotteria degli amministratori pubblici, continuiamo a far girare i bussolotti all’ultimo momento e a scegliere candidati con criteri che non hanno a che spartire praticamente nulla con la cosa in sé. 

 

Questo fa male alle città, alle regioni, e anche ai partiti politici, in ultima analisi (come si diceva una volta). Se non si formano carriere dedicate alla conquista delle città, dei paesi, delle regioni decisive, bè, è ovvio che non si forma una classe dirigente di valore locale né nazionale. Bisognerebbe emancipare totalmente i ruoli amministrativi cruciali dalle dinamiche della politica centrale, considerare all’americana che un sindaco o un governatore sono un potenziale patrimonio di tutti, e prima di ogni altra cosa dei cittadini che li eleggono e poi della totalità governata con criteri di pubblica utilità e di politica in senso forte e profondo, e in base all’uso che fanno di sé stessi in battaglia, e nel governo della cosa pubblica, poi diventeranno campioni di politica nazionale. Non l’opposto, che è una totale assurdità. 
 

Di più su questi argomenti:
  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.