Il caso

"Fero o piuma?" Gualtieri e la sindrome di Mario Brega: quale mano con Raggi?

Aspettando il candidato della destra, la corsa al Campidoglio si gioca tutta in un campo. Il dem Astorre: "Noi fuori dal ballottaggio? Una tragedia nazionale". Orfini: "Il Pd dirà che Virginia è stata peggio perfino di Alemanno?"

Simone Canettieri

A Roma il Pd è alle prese con un dilemma: come attaccare la sindaca sperando poi di avere i suoi voti al secondo turno? A sinistra c'è movimento: la grillina si rivolge agli orfani di Marino e Calenda spera di rosicchiare voti al Partito democratico

Roberto Gualtieri vive il dilemma di Mario Brega: come sarà la sua mano con Virginia Raggi de fero o de piuma?

 

Al Nazareno hanno subito  iniziato a grattarsi il capo appena hanno letto le dichiarazioni di Chiara Appendino, sindaca della prima capitale del regno d’Italia, Torino. La grillina, gemella diversa di Virginia e molto vicina a Luigi Di Maio, ha detto che “al cento per cento noi non appoggeremo il Pd al ballottaggio”. Un calcio negli stinchi ai disegni di Giuseppe Conte, certo. Ma anche un messaggio ai naviganti nella palude romana. 

 

 

Tanto che subito chi sta intorno a Gualtieri ha iniziato a farsi qualche domanda. Due su tutte: come faremo a chiedere i voti di Raggi al secondo turno se al primo le spariamo contro a  palle incatenate? E di converso: se saremo troppo soft, non rischieremo di gonfiare le vele a Calenda e quindi aiutare la sindaca a centrare il ballottaggio? Chissà.
“Chissà se il Pd avrà il coraggio di dire un’ovvietà”.

 

Quale, Matteo Orfini? “Che Raggi è il peggior sindaco che Roma abbia mai avuto nella sua storia, peggio perfino di Alemanno. Non vorrei che ci fosse la ‘sindrome di Spinaceto’”. Orfini, già presidente del Pd e commissario romano dei dem ai tempi di Ignazio Marino, ce l’ha con la mitica battuta di Nanni Moretti in “Caro Diario”: “Spinaceto? Pensavo peggio”. Traduzione della provocazione: Raggi? Pensavamo peggio, ma siamo meglio noi. Potrà funzionare una roba del genere? “Il nostro avversario deve essere la destra”, dice per esempio Bruno Astorre, segretario regionale del Pd laziale e senatore della filiera franceschiniana. Astorre sostiene che Gualtieri toccherà il trenta per cento al primo turno e scuote la testa davanti alla possibilità che non arrivi al ballottaggio: “Sarebbe una tragedia nazionale”. Nel frattempo scommette cene a più non posso: ce la faremo, a noi il Campidoglio, agli altri il conto da pagare in un ristorante di pesce in centro. Il problema, come sempre nella storia della sinistra, è la linea.

 

Quale bisognerà adottare contro la grillina? Ha fatto anche cose buone o peggio di lei solo i Lanzichenecchi? Nicola Zingaretti dice che bisognerà essere duri, durissimi, sulla scia di: “Virginia una minaccia per Roma”, come ebbe a dire già un anno fa.

 

“Sarà complicata. E dovremo dividerci i compiti – ammette Giulio Pelonzi, capogruppo e capomastro del Pd in Consiglio comunale – magari io potrò picchiare sui contenuti, come ho fatto finora, e Gualtieri potrà essere più mirato e politico. Insomma andarci di fino”.

 

D’altronde l’ex ministro dell’Economia ha fatto parte di un governo guidato da un ex premier, Conte,  che a proposito di Raggi (chissà con quanta convinzione) dichiara : “Ha cambiato volto alla città”. E quindi? E’ tutto molto bello, direbbe Bruno Pizzul. Dunque in attesa che la destra batta un colpo (oggi c’è un tavolo locale, aspettando che Salvini-Meloni si riuniscano o, meglio, che tornino a parlarsi) a Roma è partita la caccia ai voti de sinistra.

 

Con un tempismo un po’ sospetto. Per esempio, Raggi ha fatto abiura su Ignazio Marino. Gli ha chiesto scusa per avere portato le arance in Campidoglio ai tempi degli arresti di Mafia Capitale. Non solo: ha fatto mea culpa anche per la guerra a colpi di esposti sulla vicenda degli “scontrini pazzi” nei ristoranti frequentati dal chirurgo dem (quando la Roma pre pandemica era tutto un tavolino e una cicorietta ripassata). “Sono stata ingenerosa”, ammette ora, dopo oltre cinque anni, la sindaca del “cambiamo tutto”. Consapevole di rivolgersi a quel pezzo di Pd (scapigliato e fuori dal mondo delle tessere) che all’epoca si faceva chiamare “marziani in movimento”.

 

Ma nel 2021 esisteranno ancora i mariniani o marinisti della prima ora? E quanti saranno? Di sicuro l’ex sindaco  – “dal Pd 26 coltellate e un solo mandante”, disse Marino a proposito delle dimissioni dei suoi consiglieri pilotate da Matteo Renzi – sarà contento delle parole di Raggi. Almeno è l’unica che finora gli ha reso l’onore delle armi. “Sono la stessa cosa”, dice ancora Orfini. 

 

Nel frattempo si pesca tutti in questo stagno. Perché da mesi in campo c’è anche Carlo Calenda, leader di Azione, e nemico giurato dei sovranisti. Intenzionato a rosicchiare pezzi di elettorato a Gualtieri qua e là. Non a caso  l’ex ministro dello Sviluppo economico ha detto al Messaggero che “il Pd tratta i suoi elettori come valigie a disposizione dei capi di partito”. E quindi ci sono tre candidati che pestano - in diverse misure - l’acqua nello stesso mortaio. Gualtieri lo sa e intanto si chiede pensando a Raggi:  sta mano po’ esse fero e po’ esse piuma, come la uso? La sindaca, in tutto questo, da qualche giorno ha messo su un sorrisetto furbo dei suoi.

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.