La mossa

The young Draghi. Il premier prepara un discorso manifesto per le nuove generazioni

Una lezione da tenere in una scuola d'eccellenza

Carmelo Caruso

Spronare i giovani a fare loro il Recovery. "Il paese siete voi". Mario Draghi vuole invitare le nuove generazioni a scommettere sul futuro con coraggio. I temi del discorso: competenza, diritto allo studio, ma anche audacia.

Roma. Non è importante quando e come ma perché e per chi. C’è un discorso che presto Mario Draghi potrebbe tenere. Avrebbe un valore simbolico altissimo perché racconterebbe ancora una volta quale sia la sua urgenza. Spiegherebbe meglio cosa lo ha spinto ad accettare questo incarico, illuminerebbe la sua agenda. Immaginate un testo denso, un’esortazione al coraggio da rivolgere ai giovani italiani. Servirebbe a ricordare che il Recovery non è un insieme di cifre e promesse ma che “quel piano è vostro. Afferratelo”. Non sarebbe la prima volta. Ma sarebbe la prima volta che parla ai giovani nella sua veste di premier. Quali momenti, dei suoi momenti, sono ritenuti degli speciali passaggi? L’intervento all’Università del Sacro Cuore di Milano  e il discorso fatto al Meeting di Rimini. Anche allora erano testi destinati alle nuove generazioni. La costruzione del nuovo testo è raccolta in una frase-idea: “Il paese siete voi”.

 

Draghi ha iniziato a ragionarci dopo l’approvazione del Recovery. Come avvicinare i giovani a questo piano? Come spingerli a rivendicare quelle riforme necessarie, a intestarsi un’ambizione? Una lezione, che è cosa diversa però dal salire in cattedra, può servire a fare tutto questo. Un discorso da pronunciare in in una scuola d’eccellenza, una di quelle scuole che sono un vanto italiano. Quale luogo migliore infatti se non un’aula dove maestri e allievi si incontrano e pensano? Di questo se ne occuperà, anzi, se ne sta già occupando il capo di gabinetto. E’ arrivato il momento di accompagnare il Pnrr e fare in modo che ad appropriarsene siano gli italiani di domani.

 

Il 26 aprile, quando il premier si è presentato alla Camera, era questo che intendeva dire quando ha detto che il governo “accelererà l’adozione della tecnologia per dare equa opportunità a tutti. In particolare ai giovani, lo ripeto ancora”. Tutte le volte che Draghi rafforza i concetti è perché vuole cerchiare i concetti. Dunque non solo ripeterlo ancora. A Palazzo Chigi si pensa che occorra spronarli, infondergli fiducia e audacia. Stimolare “il piacere della competenza e del buon successo” insieme alla voglia di “scommettere su se stessi”. E’ la fascia che va dai 15 ai 25 anni che sta scontando i guasti della pandemia e che oggi va motivata anche psicologicamente. Se ne sono accorti in pochi ma sempre in quel discorso, alla Camera, c’era la decisione di “potenziare il servizio civile universale” e l’invito a non avere paura nel contrarre un “mutuo per acquistare una casa nuova”.

 

Le risorse ci sono ma quello che Draghi cercherà di spiegare è che non vanno scambiati come sussidi perché non c’è nulla di peggio dell’indolenza. E’ un altro punto fermo del premier ed è un altro collegamento con il discorso di Rimini. C’è un capoverso in forma nuova che rientrerà. E’ questo: “I sussidi servono a sopravvivere, ma ai giovani però bisogna dare di più. I sussidi finiranno e se non si è fatto niente resterà la mancanza di una qualificazione professionale”. Partire quindi dal lavoro che per Draghi non può che essere “la dimensione fondamentale” come la formazione e la conoscenza. Ecco perché non potrà che piacere quel riferimento-ammonimento che sarà dedicato al “diritto allo studio che non sempre abbiamo saputo garantire”.


Non si può chiedere di conoscere “senza mettere i ragazzi nelle condizioni di imparare”. A Rimini quando Draghi non immaginava di ricevere l’incarico aveva usato gli aggettivi “imperativo e urgente”. Cosa è imperativo e urgente? “Un massiccio investimento nell’istruzione perché la società del futuro richiederà ancora più capacità di discernimento e di adattamento”. Non è mai stata la durata del suo mandato a tenerlo occupato o ad angosciarlo. Avrebbe detto in una di queste sere: “Mi piacerebbe consegnare un orizzonte alle nuove generazioni. Riterrei svolto il mio compito”. Perché non dire tutte queste cose in una grande scuola come la Normale di Pisa o la Superiore Sant’Anna? Il paese lo sta guidando lui, ma solo per lasciarlo a loro.

 

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio