il caos nel m5s

Di Maio mugugna sui silenzi di Conte: "Così il M5s si perde. Servono alleanze col Pd ovunque"

I parlamentari tentano di dissuadere Grillo dal pubblicare il video in difesa del figlio: "Beppe, non farlo". Ma lui tira dritto: "Per me la priorità è la mia famiglia, ora"

Valerio Valentini

Le riunioni del ministro degli Esteri coi fedelissimi. Gli imbarazzi sull'ex premier: "Nessuno sa cosa ha in mente, neppure Casalino". Il nodo amministrative: "Servono intese al primo turno, sia a Napoli sia a Torino". Ma il Pd nicchia. E Grillo pensa al figlio

C’ha tenuto subito a mettere le mani avanti, al punto che a qualcuno è parsa quasi una excusatio non petita: “Io per ora non voglio intervenire perché sennò ricomincia la solita litania per cui io saboterei Giuseppe”. E però chi lo ha sentito confabulare intorno ai mesi che verranno, sullo scenario incerto che si preannuncia, giura che stavolta la preoccupazione di Luigi Di Maio è sincera, e che la rivalità inossidabile nei confronti di Conte c’entra poco, e comunque solo tangenzialmente. “Perché qui il problema è che, mentre attendiamo di capire cosa vuole fare Giuseppe, è il Movimento che perde la bussola”, mugugna il ministro degli Esteri.

 

Lo fa soprattutto con la cerchia stretta dei fedelissimi, quella con cui è tornato a confidarsi in incontri riservati, per pochi intimi. Una chiacchiera col suo pretoriano alla Farnesina, Manlio Di Stefano nel paddock di Imola durante il gran premio di F1; una telefonata con Laura Castelli. E poi messaggi, chat, sms con un manipolo di deputati e senatori, per lo più campani. E con tutti lo stesso, ricorrente imbarazzo nel dover spiegare che no, cosa stia facendo Conte non lo sa neppure lui. “Neanche con Casalino ormai parla più”, a quanto pare.

 

E anzi, perfino quel  suo riaffacciarsi in cattedra, a discettare di autonomia privata e regolazione del mercato con gli studenti dell’Università di Firenze, è parso quasi l’indizio di un ripensamento, un mezzo passo indietro su quel percorso accidentato che dovrebbe portare l’ex premier ad assumere la guida del M5s. D’altronde, nel ginepraio a cinque stelle, l’immagine immacolata di Giuseppi rischia seriamente di finire contaminata, insozzata da una guerriglia giudiziaria dagli esiti imprevedibili. “Anche perché la vicenda del tribunale di Cagliari è serissima”, spiega Di Maio: e così, col M5s rimasto privo di rappresentanza legale, e affidato formalmente a un curatore fallimentare individuato nella figura di un malcapitato avvocato del foro del capoluogo sardo, tal Silvio Demurtas, si rischia davvero di dover resuscitare il direttorio a cinque. E se poi Conte, a quel punto, ci ripensasse?

 

Potrebbe intervenire Beppe Grillo, per dirimere la questione: se non fosse che più che con l’avvocato del popolo, il comico ha il suo daffare con gli avvocati del figlio, accusato di stupro e difeso ieri dal padre in un video di vibrante sdegno contro il tritacarne mediatico che ha coinvolto il suo Ciro, in difesa del quale il babbo ha avanzato una tesi  inoppugnabile (“Non è vero che c’è stato lo stupro, perché una persona che viene stuprata al mattino, al pomeriggio va in kitesurf e fa la denuncia otto giorni dopo, è strano”). Ai pochi parlamentari a cui lo aveva anticipato, l’iniziativa è parsa subito bislacca: “Beppe, ripensaci, non farlo”. Ma il garante ha tirato dritto, ha spiegato che per lui questa, ora, è la priorità.

 

Solo che, nell’attesa che l’Amleto di Volturara risolva i suoi dilemmi, e Grillo si appassioni di nuovo al M5s,  la politica esige le sue scelte. E per questo Di Maio, guardandosi bene di restare nell’ombra del suo apparente standing di diplomatico che vola a Washington per discutere di strategie militari con Antony Blinken, come avendo le miserie del grillismo in gran dispetto, nei giorni scorsi ha diramato l’ordine ai suoi colonnelli: “Per le amministrative dobbiamo forzare sull’alleanza col Pd ovunque possibile”. Non solo a Napoli, dove Roberto Fico è ormai deciso a correre, col sostanziale beneplacito della segreteria dem locale, e che deve semmai solo capire quanto sia rognosa la grana del bilancio disastrato lasciato in eredità da Luigi De Magistris. Fosse per Di Maio, proverebbe a chiudere un accordo anche a Torino.

 

Dove, non a caso, proprio nelle scorse ore la Castelli ha provato a fare la voce grossa con gli amici del Pd: “O facciamo l’alleanza subito, oppure sul ballottaggio ci teniamo le mani libere”, era il senso del dispaccio. Motivi di tattica, ovviamente: se dopo cinque anni di “miracolo Appendino” il M5s scendesse sotto il 10 per cento nel capoluogo sabaudo, per i grillini sarebbe uno smacco che diminuirebbe il loro potere contrattuale, in città e non solo. “Meglio trovare un accordo subito, su un nome tecnico”, insiste la viceministro dell’Economia. Solo che i dem torinesi, a sobbarcarsi una campagna elettorale in cui devono difendere la giunta grillina uscente, col centrodestra che bombarda, non ci pensano neppure. E lo stesso Francesco Boccia, mandato dal Nazareno in ambasciata sotto la Mole, dopo essersi confrontato coi vertici locali del partito, ha accantonato l’ipotesi dell’alleanza: “Ci sono ancora troppi tabù”, ha sentenziato. E certo, scoprire che una delle collaboratrici della Appendino sta facendo campagna elettorale per il candidato del centrodestra, Paolo Damilano, non aiuta.

 

Per non parlare della palude romana, con Virginia Raggi che resta lì, tetragona, a sbarrare la strada a qualsiasi intesa tra Pd e M5s. Enrico Letta sperava che ci avrebbe pensato Conte. Solo che Conte, nel frattempo, latita: e così la prospettiva di un’intesa al secondo turno viene considerata al Nazareno già un successo. E Di Maio, nel mezzo, lascia intendere che resisterà ancora poche settimane, prima di tornare a dire la sua. 

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.