(foto Ansa)

la sfiducia come pretesto

Così la Meloni usa la mozione contro Speranza per logorare Salvini e la Lega

Luca Roberto

La leader di Fratelli d'Italia, sospinta dai sondaggi, s'incunea nei dilemmi leghisti per conquistare la leadership del centrodestra. Ricolfi: "Con le amministrative le tensioni tra alleati cresceranno"

Quando giovedì Giorgia Meloni ha denunciato via social network “l’inadeguatezza e l’incompetenza” del ministro Speranza, chiedendone la rimozione attraverso mozione di sfiducia, dal Carroccio hanno iniziato a sbuffare: “Eccoci, ci risiamo”. Perché a quasi nessuno è sembrato che il vero obiettivo nelle mire della leader di Fratelli d’Italia potesse essere il responsabile delle politiche sanitarie del governo. Bensì Matteo Salvini, che contro Speranza tuona e strepita e si straccia le vesti da mesi, e che però si trova costretto a fare i conti con le ragioni dell’opportunità politica: potrebbe mai sfiduciare il ministro di un governo di cui è parte integrante? Equivarrebbe a sfilarsi da Draghi, che soltanto ieri ha ribadito di aver “sempre trovato infondate le critiche nei confronti del ministro Speranza, di cui ho stima”. Tant’è che se fino a qualche giorno fa Salvini non aveva particolari remore nel definirlo “un ministro non all’altezza del ruolo”, ora si limita a bofonchiare che “governare con Speranza e il Pd non è semplice, ma necessario”.

“L’intento di FdI è evidente. Stando all’opposizione ci provano su qualsiasi dossier, lo facevano anche all’epoca del governo gialloverde, ma non credo che questo avrà ripercussioni profonde all’interno della coalizione di centrodestra”, confessa interessato al Foglio Riccardo Molinari, capogruppo alla Camera della Lega. Che ha eluso la questione con un: “Decideremo nel merito”.

E però, affastellando i bisticci sul Copasir, i tentativi salviniani di costruzione di una nuova destra sovranista europea, quello su Speranza sembra più un trappolone cucito dalla Meloni per incunearsi nelle contraddizioni leghiste e cercare di sussumere nuovo consenso. Ora che i sondaggi li collocano a un tiro di schioppo. “La mozione contro il ministro nasce principalmente da una contrarietà alla sua visione ideologica, ma l’obiettivo è anche far capire a chi vota che la loro rabbia viene compresa”, sussurrano in FdI. A riprova che insomma, nella battaglia sulle riaperture, intestarsi una vittoria un certo peso ce l’abbia. La convinzione, in fondo, è che le firme da raccogliere alla Camera per chiedere la mozione, almeno 63, non siano un miraggio così irraggiungibile (hanno annunciato di voler prestare soccorso alla causa gli ex grillini espulsi). Di certo c’è che i rapporti tra i due leader sono ormai logori, e si racconta che l’interruzione del dialogo sia avvenuta anche a causa di un raffreddamento delle relazioni tra Salvini e il ministro Giorgetti, che nel centrodestra ha il ruolo di emissario col compito di neutralizzare le asperità umorali. E’ un fattore che potrà influire anche sulla tenuta prossima della coalizione, a partire dalle elezioni amministrative d’autunno, per cui non si sono ancora trovati, a eccezione di Torino, candidati unitari?

“Credo che il trend sia ormai evidente. La Meloni ha il vento in poppa e paradossalmente più rimane ferma, meglio è. Non ha bisogno d’altro per diventare leader del centrodestra”, dice il sociologo Luca Ricolfi. “Molto più che sulla mozione di sfiducia, credo che le tensioni emergeranno nella ciccia della politica, che sono le candidature. Salvini tradisce un certo nervosismo, giustificato: perché Lega e Fratelli d’Italia sono vasi comunicanti. Ogni voto che guadagna la Meloni, è lui a perderci”. Del resto, sentite cosa dice a riguardo Molinari: “L’obiettivo della Lega, il primo partito del centrodestra, è quello di lavorare per tenere tutti dentro. Non sono sicuro che gli altri abbiano la stessa sensibilità”.