Complicare è facile, semplificare è difficile. La riforma della burocrazia nell'era di Twitter

Andrea Venanzoni

Il ricambio generazionale con i nativi digitali, la pubblica amministrazione come ascensore sociale basata sul merito e l'apertura del mercato. Gli annunci social di Brunetta e la domanda che alla fine resta senza risposta: con tutti gli altri già assunti cosa facciamo?

Devo ammetterlo, mi sono appassionato alla saga Twitter del ministro della Pubblica amministrazione, Renato Brunetta: con invidiabile ed encomiabile piglio digitale, si è cimentato nel creare una atmosfera di vibrante attesa per una nuova stagione di concorsualità pubblica e di immissione di forze fresche (espressione buona per ogni stagione della politica) tra i ranghi dei funzionari pubblici.

 

Marzo ed aprile sono stati e sono ancora mesi intensi sulla pagina social del ministro, il quale ha cinguettato abbastanza spesso parlando di ‘ricambio generazionale’, ‘reclutamento di alte professionalità tecniche’, ‘selezioni rapide e semplificate’, ‘capitale umano’, con poi però una deriva di anglismi che già dovrebbero insospettire e far inarcare perplessi l’arcata sopracciliare quando ci si trova al cospetto di espressioni come ‘fast track’ o ‘cherry picking’, e una sotto-deriva, pericolosissima va detto, di alta tecnologia e di sempiterna digitalizzazione, con citazioni di ‘algoritmi’ e ‘intelligenze artificiali’.

Molto spesso infatti, il digitale è la replica esatta del Sarchiapone del famoso sketch con Walter Chiari: tanto citato, ma nessuno ha bene idea di cosa davvero sia.

Gli unici che ne potrebbero avere una qualche idea sono i funzionari del Miur che ancora ricordano, assieme a Tar e Consiglio di stato, come è finita l’unica volta in cui una pubblica amministrazione si è servita di un algoritmo per gestire un procedimento amministrativo.

Apprezzo però lo stakanovismo positivamente enfatico del ministro Brunetta perché si intuisce, sia pure tra le pieghe di silicio della Rete, che lui crede davvero in queste nuove dinamiche.

Anche di recente, e non più sui concorsi ma sul delicato tema della semplificazione amministrativa, è tornato lancia in resta a cinguettare. Intendiamoci, la complicazione burocratica è l’Idra dalla molteplici teste che ingabbia e avviluppa il paese, resistente ad ogni tentativo di riforma e resiliente come usa dirsi oggi con altro termine che nessuno davvero sa bene cosa significhi ma che fa chic citare e quindi lo cito anche io.

 

 

Complicare è facilissimo, insegnava un grande artista come Bruno Munari, mentre semplificare al contrario è difficile, perché per semplificare devi saper dove mettere le mani e cosa togliere. Lo scrisse anche un Maestro del diritto amministrativo come Elio Casetta, ma viviamo in un’epoca in cui non va più di moda ascoltarli i Maestri, al massimo li si rinchiude in una teca di vetro in attesa di tempi migliori. Cioè, mai.

 

Twitta Brunetta: "La pubblica amministrazione non può essere un ammortizzatore sociale". Giustissimo, anche se poi si indice un concorso per 2.800 posti al solo sud, suscitando un lieve incidente diplomatico con le regioni del nord, tanto che lo stesso ministro ha dovuto metterci una metaforica pezza con un suo intervento sul Gazzettino.

 

Sorvolo poi sulle caratteristiche di quel concorso, cui si può accedere con qualunque laurea, da quella in giurisprudenza a quella in ceramica giapponese, e in cui viene considerato titolo di merito anche essersi laureati con il punteggio di 66 (+0,01).

 

Twitta ancora Brunetta: "Il valore del merito è fondamentale in una democrazia… cerco di rimettere in moto gli ascensori sociali nella P.A. per i nostri figli".

Meritocrazia, un po' come resilienza, è un altro di quei termini che nati in un certo modo sono poi divenuti l’esatto opposto: d’altronde quando Michael Young ha coniato il termine nel lontano 1958 non pensava ad una connotazione esattamente positiva.

 

Twitta ancora il ministro, suscitandomi un fremito di paura: "Nativamente digitale".

Lo scrive a proposito del personale della pubblica amministrazione. I nativi digitali, peggio della meritocrazia, sono un’altra categoria mondo che vuol dire tutto e niente, tanto che Mark Prensky, dopo aver coniato il termine nel 2001, lo ha dovuto cambiare, rimodellare e adattare altre ottocento volte, proprio perché non significava niente, stante la sua genericità anti-scientifica.

Poi da noi arriva tutto in ritardo. Termine del 2001, la prima volta che se ne parla in Italia è il 2011. Dovrebbe indicare le persone capaci di maneggiare uno strumento tecnologico in maniera naturale, perché cresciute in un ambiente tecnicamente complesso ed evoluto. Ma, lo capite, pure questa è cosa talmente generica da non poter essere ricondotta a un dato fattuale.

La bulimia da tecno-anglismi è massiccia in un successivo tweet sul cloud per il quale servono high skills da mettere al servizio del Pnnr. Non avvertivo una simile vertigine semantica dai tempi delle mie lontane letture cyberpunk, coi romanzi cut-up abbastanza lisergici di Richard Kadrey e di Kenji Siratori.

 

 

Twitta ulteriormente il ministro: "Al settore pubblico manca il mercato". Verissimo, ma ogni volta che si è tentato di approcciare una qualche "aziendalizzazione" del settore pubblico mal ne incolse a chi ci ha provato. Troppe e troppo ossificate certe rendite di posizione e alcuni costi di transazione sedimentati nei corridoi dei pubblici uffici, mentre la soluzione dovrebbe essere spiacevolmente gordiana.

Una pubblica amministrazione al passo coi tempi, in grado di padroneggiare linguaggi nuovi, materie sempre più complesse e inter-disciplinari, sarebbe un valore aggiunto nel cuore di una crisi pandemica: siamo alle prese con un Recovery Plan, libro dei sogni esternalizzato a varie task-force dall’aroma di assemblea medievale perché a quanto pare non si trovavano professionalità adeguate in seno ai nostri pubblici uffici.

Poter contare su una gestione totalmente in house di quei processi decisionali e redazionali ci avrebbe, semplifico brutalmente, fatto risparmiare denaro e tempo, senza dover coinvolgere ulteriori specialisti o esperti. Verrebbe naturale però chiedersi: se devo assumere professionalità che sappiano muoversi in sintonia con le contingenze presenti, tutti gli altri, quelli che magari nella famigerata epoca della digitalizzazione non sanno ancora accendere un computer, cosa me li tengo a fare?

Io credo, sinceramente, che ancor prima di cimentarsi con annunci e proclami, interessanti certo ma destinati ad essere inghiottiti dalla timeline di Twitter, dovremmo iniziare rispondendo a quella semplice domanda.

Il resto verrà dopo.

Di più su questi argomenti: