Foto Fabio Cimaglia / LaPresse

“O Zinga o Calenda”, lo stallo a sinistra per Roma. Parla Marcucci

Valerio Valentini

Letta, il proporzionale e il M5s. L'ex capogruppo dem al Senato spiega il piano per il Campidoglio

Da un lato l’ipotesi più auspicabile. “I sondaggi dicono chiaramente che Nicola Zingaretti sarebbe il candidato più forte”. Dall’altra quella da non scartare, anzi: “Il rapporto con Carlo Calenda va coltivato, specie se si pensa ai bisogni della Capitale”. Nel mezzo, Roma. Da cui passano, a ben vedere, i destini del Pd e dei rapporti di forza nel centrosinistra, che è poi ciò che ad Andrea Marcucci sta più a cuore. “Prima delle formule, però, badiamo ai contenuti”, precisa il senatore dem, che da quando ha lasciato la presidenza del gruppo a Palazzo Madama s’è messo in testa di essere ancora più centrale nel dibattito del suo partito.

 

E dunque eccoci, in una pausa dai lavori d’Aula, a discutere su come Enrico Letta stia cercando di conciliare ciò che forse conciliabile non è, delineando un centrosinistra che va da Matteo Renzi alle Sardine, dal M5s a Calenda. Missione possibile? “Mi chiedo: su quali contenuti?”. Rispondere con una domanda a una domanda: non è garbato. “Allora le faccio un esempio: sulla giustizia prevale la nostra posizione storica improntata ad un garantismo costituzionale? Sull’alta velocità e le grandi opere, manteniamo fede al nostro Dna o ci accodiamo alle manifestazioni di protesta? E’ una domanda che può essere allargata anche ai temi più sensibili nelle otto città che andranno a votare ad ottobre. Riassumo per comodità: le alleanze si fanno sui contenuti, sia per il governo nazionale, che per il più piccolo dei comuni”. E Renzi, di cui Marcucci viene talvolta descritto come fiancheggiatore, in questa alleanza è giusto contemplarlo, provare a coinvolgerlo? “Io non condivido la posizione di Renzi sui 5 stelle. Anche in questo caso devo tornare sui contenuti. Il rapporto con i 5 stelle, può essere declinato solo con la vocazione maggioritaria. Io non abbandono i temi del processo giusto e breve, non abbandono il tema delle infrastrutture viarie. Se i cinquestelle si uniscono, evviva. Se invece pensano di guidare loro, nascono i problemi, in qualche caso insormontabili”.

 

E il rompicapo delle amministrative dimostra che i problemi non sono pochi. Francesco Boccia, per superare lo stallo, propone primarie di coalizione. Sono lo strumento giusto? “In linea di massima si, però i programmi territoriali vengono prima. Da sempre sono contrario ad alleanze a scatola chiusa, decise a livello centrale. Roma non può decidere per le altre realtà solo sulla base di uno schema che può funzionare nella Capitale”. A proposito di Capitale, che fare per non rassegnarsi a una sfida tra Virginia Raggi e la destra, per il Campidoglio? “Tutti i sondaggi ci dicono che Zingaretti sarebbe il candidato più forte: vedremo cosa deciderà infine l’ex segretario del Pd. In linea generale, non rinuncerei per nulla al mondo al rapporto con Calenda, soprattutto a Roma, perché ha un curriculum adeguato alle esigenze della Capitale ed un bagaglio di idee e proposte assolutamente compatibili con le nostre. Reputo tutto questo compatibile con primarie vere, ai gazebo per intenderci, non quelle online”. E il Covid? “Durante la pandemia alcuni paesi hanno votato, non ci possiamo spaventare per primarie vere”.

 

Ed evocando il voto, non si può che pensare al 2023: davvero lo schema di gioco sarà una sfida con Letta e Conte da un lato e Meloni e Salvini dall’altro? “In questa legislatura abbiamo imparato che due anni sono un tempo eccessivo per stabilire schieramenti. Poi naturalmente in grande misura dipenderà se e come riusciremo ad avere una nuova legge elettorale. Il Rosatellum renderebbe inevitabile il ricorso ad alleanze ampie, per questo spero sia modificato”. Letta in effetti predica un ritorno al maggioritario. Che ha senz’altro le sue virtù: ma con Salvini e Meloni che s’azzuffano sul Copasir, che fanno a gara a coccolarsi Viktor Orbán mentre Forza Italia resta saldamente nel Ppe, archiviare il proporzionale non significa anche rinunciare a far esplodere le contraddizioni tra i vostri avversari? “Io infatti il proporzionale non lo abbandonerei affatto: specie se con uno sbarramento alto, che comunque provocherebbe una spinta all’aggregazione, almeno tra grande e piccolo partito. Ma aspetto di capire meglio le intenzioni del segretario sull’argomento, che ad ora almeno, non mi sembrano chiarissime”.

 

Né lo sono state rispetto alla sua possibile intenzione di correre per uno scranno alla Camera nelle suppletive di Siena. “Ho detto per Conte ciò che vale anche per Letta: devono decidere i senesi ed i toscani. In più le dico: ma il Pd avrà qualche candidata sindaca nelle otto città che voteranno ad ottobre oppure si seguirà lo stesso criterio utilizzato per designare la nostra delegazione al governo?”. Qui c’è del rancore personale, però. “Al contrario: è la politica che impone coerenza nelle scelte. Altrimenti si alimenta il sospetto che la questione femminile possa essere agitata per regolare conti personali. E questo non sta bene”.

 

  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.