Letta cerca di sedare la tensione

"Stiamo sereni". La disfida del Pd

La sfida Serracchiani-Madia per scegliere il nuovo capogruppo alla Camera

Marianna Rizzini

La convergenza a tre su Serracchiani e l'incognita sui voti che può raccogliere Madia. Il malessere e la guerra di missive

Nella disfida delle missive – sottotitolo del film “elezione del capogruppo pd alla Camera-duello Debora Serracchiani-Marianna Madia” – l’ultima missiva (in forma di lettera aperta) è arrivata a firma Walter Verini. Il deputato e tesoriere pd, storico braccio destro di Walter Veltroni a Roma, ha scritto infatti ieri un appello a “Debora e Marianna”, perché dicano “no alle correnti”. Segue dichiarazione di stima per entrambe: “Alla riunione del gruppo ho detto paradossalmente che preferirei un sorteggio tra voi due piuttosto di dover scegliere”. Ma quel che ha il tono di un veltroniano “ma anche” assume al tempo stesso il contorno del consiglio alla futura eletta, e cioè con grande probabilità Debora Serracchiani, visti i numeri suggeriti sottotraccia alla vigilia del voto di oggi da ogni lato del Pd, in virtù di quello che viene raccontato nel partito come “inclinazione favorevole” a Serracchiani nell’area mista Dario Franceschini-Graziano Del Rio-Base Riformista. E Verini, che non soltanto conosce Madia fin da quando Veltroni la candidò alla Camera nell’anno 2008, dopo che la stessa aveva fatto parte della segreteria tecnica di Enrico Letta quando Letta era sottosegretario alla Presidenza del Consiglio di Romano Prodi), sottolinea l’importanza del cambiare strada al di là del dover eleggere un capogruppo donna (cosa che, per come si è messa, rischia quasi quasi di rivelarsi un boomerang): “L’elezione a capogruppo di una di voi sarà un segnale di crescita per il Pd”, scrive Verini, “la competizione potrebbe essere un contributo importante per provare a marginalizzare, ridimensionare il peso di un correntismo asfissiante ed esasperato...avete un ruolo importante da svolgere: fare del vostro confronto un momento reale di crescita. Rifiutare appoggi preventivi di correnti più o meno organizzate”.

E ieri c’era chi, nel Pd, sintetizzava con un: “E’ come dire a Serracchiani: vedi un po’ che devi fare”, ma c’era anche chi enumerava “i risultati che potrebbe ottenere Base Riformista” (che già può contare la presidente dei senatori pd Simona Malpezzi e il vicepresidente Alan Ferrari): un possibile incarico da vicecapogruppo alla Camera per Piero De Luca. In attesa del responso dell’urna, con voto segreto, stasera alle 18, sotto gli occhi dei tre “saggi” Piero Fassino, Barbara Pollastrini e Flaminia Nardelli Piccoli, le due candidate venivano date intanto per “intente a sondare il terreno”.

 

L’altra questione ruota infatti attorno all’entità del consenso eventuale di minoranza per Madia, visto che ieri entrambe le candidate restavano in campo: “Saranno dieci, venti o trenta i voti per Marianna?”, era dunque l’interrogativo, dopo il j’accuse di Madia (prima lettera aperta) contro Graziano Del Rio e coloro che, con “gioco degli accordi trasversali”, si erano secondo Madia macchiati di “cooptazione mascherata” a favore di Serracchiani. Avere qualche decina di voti (in area orfiniana e orlandiana, perlopiù) potrebbe significare infatti aver comunque fatto risaltare plasticamente un malessere anti-correntizio, quello per cui era stato in teoria richiamato Letta e quello che però potrebbe far scoppiare un secondo malessere uguale e contrario. E se Serracchiani, sempre via lettera, aveva due giorni fa respinto le accuse (“l’autonomia è stata la cifra della mia storia personale e politica”), e se Del Rio aveva fatto lo stesso (” ritengo di non meritare accuse di manovre non trasparenti”), nel giro delle pubbliche missive si inseriva intanto un’accorata Barbara Pollastrini: “Non mi è difficile intuire quanto il nostro gruppo sia attraversato da qualcosa che si definiva pudicamente disagio…serviranno profondo rispetto, una nuova reciprocità e limpidezza…vediamo come immetterci nella faticosa battaglia per cambiare le logiche e l’agenda del potere, perché di potere si può anche morire”. Per non dire della drastica senatrice Monica Cirinnà: “Fossi Delrio azzererei tutto e aprirei le candidature”.

Ma l’ultima parola l’aveva intanto detta il segretario Enrico Letta al mattino, su Rai Radio1, usando l’antica terminologia renziana contro di lui rivolta nel 2014: “Se posso permettermi di usare questo termine, credo che la scelta vada fatta in grande serenità” .

  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.