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Editoriali

Il ghirigoro leghista

Redazione

I corteggiamenti a Orbán, l’attrazione verso l’est illiberale e il paravento draghiano

L’Economist definisce Mario Draghi “Demolition man”, nuovo interprete della rottamazione: con il suo arrivo, il primo ministro ha portato a uno stravolgimento della già non placida vita dei partiti italiani. Si spacca il Movimento cinque stelle, il Pd s’è dovuto trovare rapido un nuovo leader e la Lega resta formalmente unita ma con un’ambiguità insormontabile, che si vede soprattutto, ironia massima, sulla scena europea. Se la retorica anti euro è parzialmente archiviata (del resto anche Marine Le Pen, gemella francese della Lega, dice che l’Europa “protegge”, come un Macron qualsiasi), alleanze e condivisioni di vedute non lo sono per niente. Laddove l’ala pragmatica della Lega suggerisce una vocazione popolare intesa come appartenenza alla più grande famiglia europea, quella del Ppe, il resto del partito, e in particolare il suo leader Matteo Salvini, continua a ribadire la sua vicinanza ai partiti che considerano, quando va bene, l’Europa un bancomat, uno strumento utile per sorreggere le proprie economie, ma per il resto un covo di liberali retrogradi che rendono l’Ue una novella Urss.

 

Fa piuttosto sorridere che buona parte di questa ambiguità converga su Viktor Orbán, premier ungherese che sfida costantemente le regole di convivenza europea e che, furbo, si ferma sempre un passo prima di essere considerato un reietto. Ora che la posizione di Orbán dentro al Ppe è incerta, è partita una bizzarra competizione tra la Lega e i Fratelli d’Italia per conquistarsi un posto vicino a Orbán. Così un giorno il conteso ungherese sembra più vicino ai Fratelli d’Italia, il giorno dopo più vicino alla Lega, anche se forse, al momento, è più probabile che Orbán stia cercando di evitare troppi danni: fuori dal Ppe starebbe sicuramente più scomodo. Così, mentre in Italia Salvini gioca la partita con i responsabili, in Europa spera di poterla giocare con gli illiberali, quegli ungheresi e polacchi che continuano la battaglia contro lo stato di diritto. Noi la chiamiamo ambiguità, ma è un eufemismo.

 

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