Verso un nuovo segretario

Il Pd non può stare sereno

Claudio Cerasa

Il senso di una svolta, l’importanza delle primarie, l’allargamento, la pacificazione non farlocca, le sfide alla Lega, lo scarto tra chi cerca l’anestesia e chi l’adrenalina. Appunti su un Pd di Letta e di governo 

A prima vista non ci sarebbe nulla da obiettare: un ex presidente del Consiglio stimato dal suo partito, stimato in Europa, stimato da Draghi, stimato da diversi avversari, con buoni rapporti trasversali, con una buona rete internazionale e con un curriculum di tutto rispetto che si trova a un millimetro dal diventare il nuovo segretario del Pd non può che essere una notizia positiva per un partito in cerca di autore, in cerca di identità, in cerca di equilibrio e in cerca di futuro. Se Mario Draghi è senza dubbio il più politico fra i tecnici, Enrico Letta, che salvo sorprese domenica prossima dovrebbe essere acclamato dall’assemblea del Pd come nuovo segretario, è certamente il più tecnico dei politici. E per il Pd avere come traghettatore qualcosa in più di un semplice amministratore degli scazzi tra le correnti del partito potrebbe essere, almeno sulla carta, un buon punto non solo per ripartire ma anche per evitare che a dettare l’agenda del governo Draghi sia sempre più il partito più distante dal premier (la Lega) e sempre meno il partito più vicino al presidente del Consiglio (il Pd).

  

Sulla strada della ricostruzione del Pd vi sono però almeno tre ostacoli grandi come una casa che, Letta o non Letta, costituiscono le vere sfide che il nuovo leader del Partito democratico dovrà prendere di petto per evitare che la necessaria dose di adrenalina di cui oggi ha bisogno il Pd venga sostituita da una non necessaria dose di morfina.

 

La prima sfida riguarda il senso di un mandato. Nello statuto del Pd, il reggente è una figura che esiste solo quando si avvia un congresso ed è evidente che se il mandato del prossimo segretario non sarà legato a una data per convocare i gazebo ci sono buone possibilità che la nuova fase del Pd nasca con un presupposto sbagliato: scappare dalle primarie.

 

La seconda sfida riguarda invece il senso di una parola molto utilizzata per fotografare uno dei mali del Pd: la mancanza di “pacificazione”. Non c’è segretario del Pd che non si sia dimesso in questi anni per questioni legate ai logorii veri o presunti portati avanti dalle correnti ma se il nuovo leader democratico intenderà lavorare a una forma di pacificazione limitandosi a osservare solo l’ombelico del partito ci sono ottime probabilità che il Pd possa fare un passo in avanti verso il progetto di autocombustione. Cosa che invece non accadrebbe se la pacificazione venisse intesa in un modo più nobile, provando cioè a far entrare sotto la tenda del Pd tutti gli europeismi che non si riconoscono nella destra di Salvini e Meloni.

 

E il primo compito di un buon segretario del Pd dovrebbe essere questo: mettere la vocazione maggioritaria al servizio di un progetto tanto identitario quanto inclusivo. E dunque tutti dentro: da Bersani a Speranza, da Bentivogli a Calenda, dagli ambientalisti fino a ciò che resta del mondo renziano. Essere inclusivi senza avere un’identità diversa dalla semplice evocazione delle alleanze rischia però di essere troppo poco per rilanciare un partito. E per un Pd desideroso di crescere senza assecondare lo status quo esiste una sfida ben più importante rispetto al solito rapporto con il M5s: capire che in un mondo che cambia non è pensabile che l’unico partito incapace di cambiare sia proprio quello che da anni sogna di offrire al paese un governo del cambiamento.

    

E cambiare oggi significa questo. Significa rendersi conto che essere semplicemente “un argine contro la destra” non è più sufficiente per avere una propria identità. Significa rendersi conto che per fare concorrenza agli avversari occorre avere uno schema di gioco che punti a far propria l’agenda dell’ottimismo e dell’innovazione. E significa rendersi conto che per avere futuro occorre pensare un po’ meno ai voti che può rubare al Pd il M5s e un po’ più invece ai voti che può rubare al Pd una Lega non più anti europeista, che sembra avere al momento più dinamismo del centrosinistra nel parlare a un’Italia energica che chiede alla politica meno assistenzialismo e più opportunità per tornare a crescere e magari a sognare.

  

La morte del Pd è da anni una notizia ampiamente esagerata ma senza capire fino in fondo quali sono i cambiamenti impressi da Draghi al mondo della politica il Pd, Letta o non Letta, ha poche ragioni oggi per essere sereno.

 

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.