Dopo le dimissioni di Zingaretti
Pd, il gioco delle correnti e gli scenari in vista dell'assemblea
Da Orlando a Franceschini, fino a Base riformista e agli amministratori: le spaccature e le prospettive dem verso l'assise nazionale del 13-14 marzo
Nicola Zingaretti, segretario dimissionario, è presidente della regione Lazio. La sua è l'area progressista del Pd (Ansa)
Dario Francescini, ministro della Cultura: a lui fai riferimento la corrente "Area Dem"
Andrea Orlando, ministro del Lavoro. E' a capo della corrente "Dems"
Nicola Zingaretti, il segretario dimissionario: guida la componente progressista del Pd
Matteo Orfini, leader dei "Giovani turchi" (Ansa)
Stefano Bonaccini, presidente dell'Emilia Romagna, esponente di spicco della cosiddetta corrente degli "amministratori" (Ansa)
Gianni Cuperlo, riferimento dell'area più a sinistra tra di Democratici
Lorenzo Guerini, ministro della Difesa, leader con Luca Lotti della corrente "Base Riformista" (Ansa)
Goffredo Bettini, considerato il teorico dell'alleanza con i 5 stelle: la sua corrente è stata definita "Thailandese" da Matteo rRenzi (Ansa)
Alla fine non sono bastate nemmeno le nomine del nuovo governo, ministri e sottosegretari: Nicola Zingaretti si è dimesso ieri, dopo esser stato per giorni al centro del fuoco incrociato, da parte delle correnti che animano, ma forse sarebbe meglio dire che agitano, i corridoi del Nazareno.
“Lo stillicidio non finisce. Mi vergogno che nel Pd, partito di cui sono segretario, da 20 giorni si parli solo di poltrone e primarie, quando in Italia sta esplodendo la terza ondata del Covid, c’è il problema del lavoro, degli investimenti e la necessità di ricostruire una speranza soprattutto per le nuove generazioni”.
Sono state le parole con cui, in un post Facebook, il segretario ha fatto un passo indietro. Parole pesanti che certificano la polveriera democratica, una sorta di guerra tra bande, fatta di correnti e visioni diverse, spesso alternative o contrastanti, e troppe volte inconciliabili. Come dimostra la tumultuosa storia della segreteria dem che dal 2007, anno di fondazione del partito, ha visto avvicendarsi, con segreterie di diversa natura, otto figure: Veltroni, Franceschini, Bersani, Epifani, Renzi, Orfini, ancora Renzi, e poi Martina e fino a ieri anche Zingaretti.
E se lo scissionismo è una delle cifre della sinistra, le correnti rappresentano di certo uno degli elementi che più hanno caratterizzato i democratici italiani: socialisti, liberali, di ispirazione cattolica o tutti votati alle riforme, c'è chi guarda all'economia di mercato e chi sposa un approccio assistenzialista. Ma quali sono le principali correnti del Pd?
Le correnti
Iniziamo da Base riformista, la corrente che fa capo a Lorenzo Guerini e Luca Lotti, tra le più attive nelle ultime settimane nel mettere in discussione la leadership di Zingaretti. Tra di loro, la componente parlamentare più numerosa al momento, tanti ex renziani che non hanno seguito il senatore di Scandicci nell'avventura di Italia viva, e il capogruppo in Senato Andrea Marcucci.
L'ormai ex segretario Zingaretti è il riferimento dell'area progressista del partito, quella che si inserisce e prosegue nel solco tracciato dalla “Ditta” di Bersaniana memoria: in questo campo troviamo anche Roberto Gualtieri, Paola De Micheli e l’ex ministro Enzo Amendola. Goffredo Bettini, da molti considerato il teorico dell'alleanza giallo rossa, ha trovato il suo spazio in un'area di riflessione, socialista e cristiana, comunque molto vicina a Zingaretti. Quella che Renzi aveva definito la corrente thailandese del Pd.
C'è poi la sinistra più radicale che trova in Gianni Cuperlo il suo esponente più rappresentativo; ci sono gli orlandiani, i cosiddetti “Dems”, che almeno in teoria sostenevano Zingaretti e di cui fa parte anche Giuseppe Provenzano. E ci sono quelli di Area Dem del ministro della Cultura Dario Franceschini, il nostromo dei governi e dei partiti senza guida. In questo campo, di ispirazione cattolico-democratica, si collocano anche personaggi come Piero Fassino, e Roberta Pinotti. Matteo Orfini, un tempo fedelissimo renziano, guida invece i Giovani Turchi, di cui fa parte anche Giuditta Pini, portatori di una visione socialdemocratica.
E infine gli amministratori, con Stefano Bonaccini in prima fila e sindaci come Dario Nardella e Giorgio Gori subito dietro, nel promuovere una visione riformista della politica, che guarda al centro più che alla sinistra radicale. Una delle correnti più impegnate nelle ultime settimane, insieme a Base riformista, nel criticare l'operato della segreteria. E' anche a loro che Zingaretti faceva riferimento nel post di ieri parlando degli “attacchi di chi in questi due anni ha condiviso tutte le scelte fondamentali che abbiamo compiuto”.
Il congresso e gli scenari
Si apre ora una fase nuova per il Partito democratico, che dovrà affrontare una discussione serrata, l'ennesima, per provare ad andare oltre le criticità di questi giorni, oltre le divisioni che ciclicamente ritornano, a prescindere dal segretario di turno. Al primo round non manca molto, l'Assemblea nazionale Pd è prevista per il 13 e 14 marzo. In assemblea potranno verificarsi due scenari. Il primo: vengono ratificate le dimissioni di Nicola Zingaretti da parte della presidente del Pd Valentina Cuppi, che mette all'ordine del giorno l'elezione da parte dell'assemblea di un nuovo segretario (il cosiddetto reggente). Il nome circolato in queste ore è quello di Roberta Pinotti, area Dem, ex ministra della Difesa.
A questa elezioni possono partecipare più candidati, ma probabilmente si arriverà a un nome frutto di un accordo interno. Se si presenta e viene eletto dalla maggioranza, il candidato diventa segretario con pieni poteri e deve così formare una nuova segreteria. Secondo scenario: se in assemblea non si individua un candidato, la presidente dà mandato alla direzione di convocare il congresso (e le primarie). Ipotesi, quest'ultima, ritenuta remota vista la pandemia. E Zingaretti? Secondo lo statuto, non potendo le sue dimissioni essere rigettate dall'assemblea, dovrebbe ricandidarsi per farsi eleggere nuovamente, ma è un'ipotesi che al momento né il diretto interessato né i big del Pd prendono in considerazione.
Antifascismo per definizione