(foto Ansa)

Il retroscena

Governo Draghi, la mossa di Salvini manda nel panico il Pd: "E ora che facciamo?"

L'ex numero uno della Bce entra anche nel gioco del prossimo capo dello stato, smontando i piani dei big dem

Simone Canettieri

L'apertura del leader leghista  manda in confusione i dem (soprattutto l'ala sinistra). Smentita l'ipotesi di un appoggio esterno. Il Nazareno adesso vede di buon occhio l'opzione tecnici d'area

"E ora che facciamo?". Il Pd è in tilt dopo la generosa apertura della Lega al governo Draghi.

I dirigente dem hanno ascoltato, pesato e ragionato sulle parole di Matteo Salvini davanti ai giornalisti, appena fuori dalle consultazioni con il premier incaricato. Subito  un misto di stordimento ha colto il Nazareno e le mille articolazioni che compongono il partito guidato da Nicola Zingaretti.

 

"E dunque ora che facciamo?", si sono detti i vertici del Partito democratico dopo che il leader del Carroccio ha più che aperto al sostegno a Draghi. Parlando di visione, lavoro, infrastrutture, "perché questo è un momento in cui prevale l'interesse nazionale a quello personale e di partito".

 

Come si replica a una mossa tanto spiazzante, dopo che per giorni - quando l'obiettivo principale era stato trascinarsi dietro i cinque stelle nella nuova esperienza -, s'erano piantati i piedi su un unico punto fermo: "mai al governo insieme alla Lega"? 

Così, quando ancora davanti al premier incaricato sfilava la delegazione grillina, nelle chat democratiche s'avanzava una modesta proposta: che lo struggimento fosse tale, a quel punto, da preferire l'ipotesi di sfilarsi. Benedicendo il governo dell'ex presidente della Bce con una formula da prima Repubblica: l'appoggio esterno. Tenendosi le mani libere. Se n'è parlato nelle tv, si sono rincorse le voci alimentato dal Pd. 

Al punto che a una certa ora del pomeriggio, poco dopo pranzo, una nota dello stesso Partito democratico questa ricostruzione l'ha voluta stroncare sul nascere: "Notizie totalmente infondate". Seguita dalle dichiarazioni di Base Riformista, e poi del capogruppo al Senato Andrea Marcucci che c'ha tenuto a chiarire come di elementi di preoccupazione non se ne vedessero ancora: "Se la Lega cambia idea, diventa europeista e capisce che ha sbagliato per anni, meglio per tutti", ha scritto in un tweet. 

 

 

Ma di li a pochi minuti, una frase sibillina pronunciata da Grillo all'uscita da Montecitorio, ha permesso ai dem di far notare che neanche al Garante dei 5 Stelle la convivenza con la Lega leghista va bene.  Saltando in macchina, placcato da microfoni e telecamere, Grillo ha citato Platone: "Non conosco una via infallibile per il successo, ma per l’insuccesso sicuro: voler accontentare tutti”.

Modo molto circospetto, ha fatto notare qualcuno degli interessati, per dire a Draghi che è meglio sbarrare la strada a Salvini. Almeno se si ha come obiettivo quello di non suscitare nella componente più a sinistra dei democratici (per non dire di Leu) un rigetto che a questo punto potrebbe rimescolare le carte di un'eventuale nuova maggioranza.  Dopo un iniziale disorientamento il Pd sembra - almeno a parole - tornato nei ranghi.  L'appoggio sarà incondizionato. Ma i timori permangono, come da una telefonata che Nicola Zingaretti avrebbe avuto con il capo dello stato Sergio Mattarella venerdì scorso, appena uscito dall'incontro con Draghi. 

 

Il problema adesso è chiaro e spetterà al premier incaricato risolverlo: per tenere dentro tutti quale sarà la formula più efficace: governo politico, governo di tecnici, governo misto o modello Dini con ministri tecnici e sottosegretari politici? Una soluzione da cui dipende la buona riuscita dell'operazione e soprattutto la prospettiva. Di sicuro, fa notare qualche malizioso nel Pd, un governo con i leader dentro porterebbe all'automatica, o quasi, elezione di Draghi a presidente della Repubblica, uno scenario che stroncherebbe le ambizioni di molti al Nazareno. A partire da Dario Franceschini. Ragionamenti prematuri e chiacchiere di queste ore, destinati a cambiare di ora in ora. Le carte, per il momento, non le danno i partiti.

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.