Morosi per Conte

Buccarella e Giarrusso, Ciampolillo e Di Marzio. Prima cacciati dal M5s e ora indispensabili

Salvatore Merlo

Come nasce il gruppo dei Cinque stelle allontanati per indegnità e derisi che adesso rientrano da salvatori della patria

Non si sa nemmeno se alla fine si ritroveranno insieme in un gruppo parlamentare, al fianco dei compagni grillini che li avevano espulsi. Ma di certo per i Buccarella e i Mario Michele Giarrusso, i Di Marzio e le Nugnes, i Ciampolillo e le Vono,  i grillini “furbetti” o reietti, quelli che ora Conte chiama “costruttori”,   si configura   un caso di paradiso conseguito o perlomeno d’inferno (quasi) esorcizzato. Spernacchiati e derisi, insultati ed esiliati dai loro colleghi, considerati  la prova incarnata di ogni malefatta, in pratica “mele marce” per Di Maio e causa di “dolore” per Grillo, questi ex vaffanculotti sono adesso la chiave della salvezza pentastellata, la risorsa inattesa che forse ri- torna (utile) alla casa del padre. Una rivincita. C’era quello che non restituiva i rimborsi e veleggiando nel vento dell’implausibile se la prendeva con l’impiegato della banca (“l’impiegato del Senato dove faccio i versamenti deve aver  fatto bisboccia la sera sbagliando poi le date”, diceva Giarrusso). E c’era quello che invece, con estro innegabile,  attribuiva l’impiccio a errori di calcolo. C’era poi anche quello che malgrado lo stipendio da parlamentare prendeva pure il bonus Inps da 660 euro (ma non se n’era accorto) e quello infine che si giustificava dei soldi trattenuti spiegando che “ho revocato due bonifici perché volevo chiudere quel conto corrente”. Mancate restituzioni, denari incastrati al borsello, bonus intascati, regole violate, conseguente espulsione secondo morale grillina. Tutto perdonato. Ché  al governo mancano i numeri e il popolo grillino li saluta come salvatori della patria, ormai   liberi (o quasi) dal puro folklore e dal bieco colore cui s’erano consegnati ciascuno a suo modo nel corso d’una legislatura durante la quale il M5s ha perso o espulso per indegnità ventisei deputati e sedici senatori. Un esercito di riservisti che adesso torna utile, al punto che già circola il nome ufficioso del loro nuovo gruppo parlamentare così spiritosamente  battezzato: morosi per Conte.

  
Anime in pena che volteggiavano sulla palude del nulla, ectoplasmi esclusi   dalle chiacchiere televisive antelucane, certi di non essere ricandidati, contenti però di aver scippato uno stipendio pieno ma anche abbastanza sicuri di non poterlo mai più riconfermare, ecco che adesso gli espulsi indispensabili vivono l’ora della riabilitazione. E della gloria.  D’un tratto infatti i  “morosi per Conte” non solo recuperano la dignità perduta, rientrano in gioco da responsabili, ma pure rischiano, grazie alla futuribile lista del premier, di conquistare persino quell’agognata rielezione che è ormai un miraggio per la maggior parte dei grillini  rimasti ligi alle regole di un partito precipitato dalle vette del 32 per cento al sottoscala del 10 per cento. Sapete in quanti saranno riconfermati nel M5s con questi voti? Meno di un terzo. Loro fuori e i morosi dentro. Insomma cacciati ma ora quasi rientrati, i reietti e sputazzati rivelano  una volta per tutte l’inutilità disarmante di quel distillato di furore antiparlamentare e impolitico  che i grillini chiamano senza ironia “non statuto”, cioè quel rovinoso insieme di norme che in questi anni ha forse realizzato il più articolato e involuto, inapplicabile e sciocco, regolamento che una forza politica si sia mai data nella storia della democrazia mondiale. E allora Buccarella Maurizio da Lecce,  arrivato a Roma nel 2013 a bordo di una Toyota Celica del 2000 e passato in dodici mesi da un reddito  di 11 mila euro l’anno alla bellezza di centoottomila euro, lui che considerava evidentemente insufficiente  l’aver decuplicato lo stiupendio al punto da aver violato  il regolamento M5s che impone il taglio della diaria, ecco che proprio lui ha oggi più certezze di tornare in Senato rispetto a  qualsiasi altro fessacchiotto grillino che sia rimasto fedele all’imbonimento casaleggiano. Ben scavato, vecchio moroso (per Conte).
 

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.