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spazio okkupato

La politica come cittadinanza: quanto sanno di sinistra le parole di Luca Zaia

quando la natura delle persone si rivela per ciò che è

Giacomo Papi

Il discorso con cui Luca Zaia ha invitato i suoi corregionali a non uscire di casa per non diffondere il contagio contiene molti temi di una visione del mondo di sinistra. E si allarga la distanza tra le sue parole e l’attitudine minimizzante e strafottente del leader del partito a cui appartiene

Il discorso con cui il presidente della Regione Veneto Luca Zaia ha invitato i suoi corregionali a non uscire di casa per non diffondere il contagio contiene molti temi di una visione del mondo di sinistra, condensati in 2 minuti e 44 secondi. Sul piano della cronaca politica e delle lotte interne di partito, la notizia è la distanza siderale tra le parole di Zaia e l’attitudine minimizzante e strafottente del leader del partito a cui Zaia appartiene, che usa le mascherine, quando le usa, per pulirsi gli occhiali o per acclamare Trump, e rilascia dichiarazioni in favore dell’idrossiclorochina. Su un piano politico più profondo il discorso di Zaia esprime una visione comunitaria – quasi cristiana – della società e della politica che ci si sarebbe potuti aspettare da un prete o da un amministratore di sinistra. Non potrebbe essere più stridente e sconfortante, per molti che l’hanno votato, il contrasto con i post del sindaco di Milano Beppe Sala, che continua a proclamare imperterrito in mezzo al naufragio il primato dell’economia (e dei bar) senza rendersi conto che l’ideologia del #Milanononsiferma non soltanto condanna ingiustamente la città alla caricatura della “Milano da bere”, ma moltiplicherà i giorni di chiusura e i danni all’economia.

 

Il lessico, la sintassi, i tic linguistici di Luca Zaia sono assolutamente coerenti con il linguaggio del leghismo, come sono coerenti il look, il piglio virile, l’accento. Quasi ogni frase inizia con l’avverbio “allora”: “Allora, sono imbarazzanti le foto…”, “Allora, a me spiace…”, “Allora, per colpa di pochi, tutti rischiamo di rimetterci…”, “Allora, la domanda ricorrente di queste ore è…”. E’ coerente anche l’abbondante ricorso a espressioni di buon senso e a modi di dire, alla famosa parlata del popolo: “Non veniteci a dire…”, “Come se non ci fosse un domani”, “La vecchia bottega dove c’era il cartello: ‘Per colpa di qualcuno non si fa credito a nessuno’”. Quello che non è coerente con l’ideologia del centrodestra, almeno per come l’abbiamo conosciuto in Italia da Berlusconi in poi, è il fermo rifiuto del primato dell’economia, del benessere e del consumismo: “Possibile che oggi si viva solo col contesto del benessere e nessuno si pone il problema che al di là del fossato c’è un ospedale pieno di pazienti?”, “Non è che se saltiamo una domenica di spritz casca il mondo”, “Non è che l’alternativa a un locale chiuso è trovare un capannone dove andare a far festa”. 

 

C’è l’affermazione del diritto di ognuno a essere curato, anche “dei pazienti molto anziani… Per lo più in pensione, non indispensabili allo sforzo produttivo del paese”, come ha twittato qualche giorno fa il collega di Zaia, Giovanni Toti, governatore della Liguria. Ha detto, invece, Zaia: “Non veniteci a dire che è tutta un’invenzione perché muore una ventina di persone al giorno e non veniteci neanche a dire: ‘Ma l’età, ma la co-morbilità, ma le patologie…’, perché tutti hanno diritto di vivere”. “Duemilacinquecento morti sono un paese che se ne è andato”. C’è il rispetto del dolore, del lavoro, della fatica e della competenza medica: “Bisogna avere rispetto per le persone che soffrono e stanno male e per gli operatori che rischiano la propria vita per poter venirne fuori”. C’è il richiamo ad assumersi, tutti singolarmente ma ognuno in quanto parte di una comunità, la propria responsabilità: “Altrimenti è inevitabile che ci daremo appuntamento alle porte dell’ospedale e poi non veniteci a dire che c’è la brandina nel corridoio, che indignazione, ecco la civiltà, guarda come curano i pazienti… Ogni struttura organizzata ha un punto di non ritorno”. 

 

C’è l’idea che nessuno può sentirsi innocente a prescindere: “Il problema della gestione degli ospedali non è un problema degli altri. Non esistono gli altri. Esiste la comunità. Adesso ho l’impressione che il problema da comune sia diventato individuale. Ma se passa ’sto principio, guardate, veramente ci mettiamo nei guai, eh”. In ogni emergenza – epidemie, guerre, naufragi – possono capitare momenti in cui l’appartenenza politica non conta più nulla, come non contano il taglio di capelli, il collo delle camicie, il lessico, la sintassi, le letture fatte o non fatte, la storia personale, gli errori, le gaffes, le frequentazioni, gli incontri e le relazioni grazie a cui si è arrivati a occupare un posto nel mondo. Ci sono momenti in cui la natura delle persone si rivela per quella che è perché occorre scegliere. La fine del breve discorso di Zaia è affidata a otto parole: “Questa non è politica. Questo è senso civico”. E’ il senso fondamentale, e più puro, della politica come cittadinanza. La cultura può educare la natura, ma può accadere anche il contrario.

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